di Luca Filidei
Quando si pensa al surf, molte persone immaginano una vita trascorsa a prendere il sole su spiagge magnifiche, magari con onde glassy, come se le immagini da cartolina trasmesse dal Corona Fiji Pro fossero una costante di chi frequenta le lineup. I lettori assidui di Tuttologic Surf però sanno bene che la realtà è un po’ diversa. Non dico che la cultura beach bum anni ‘50 non sia mai esistita, ma descrivere questo sport (o questo stile di vita) come esclusivamente “peace and love” è più che mai sbagliato. Soprattutto nel 2024.
Basta vedere quanto accade nella WSL con un gruppo di top surfer che lotta ogni anno per restare in cima. Qualcuno finisce nelle CS? Eh, questo è il Championship Tour, altro che atteggiamento friendly. Qui regna (anche giustamente) soprattutto il cinismo. Quello che troviamo specialmente in chi comanda la nave del campionato. Sì, perché se è vero che i surfisti competono senza freni tra loro, lo è altrettanto l’amicizia che spesso sboccia nella Red Bull Athlete Zone contest dopo contest. Ricordiamoci le reazioni dei colleghi al mancato superamento del mid-season cut da parte di Sally Fitzgibbons nel 2022 o più recentemente il mega-pranzo al Tavarua Island Resort durante l’ultima gara della regular season.
La competizione accanita degli sponsor nel surf.
Tornando infatti al topic principale mi viene naturale sottolineare quanto il motore della WSL sia una logica orientata come NBA e NFL a scovare nuove opportunità di marketing, ampliare la fan base, incrementare l’engagement e firmare contratti con nuovi sponsor. Il denaro necessario per organizzare i nostri amati contest in fondo proviene da lì. Insieme ai contratti TV o OTT, gli sponsor sono la linfa di tutto il sistema. Senza di loro non ci sarebbe né il Pipe Pro né le WSL Finals. Anzi, potremmo dire che le Finals sono il risultato proprio di quei contratti. Erik Logan voleva grandi sponsor, i grandi sponsor volevano visibilità. E per raggiungere questo duplice obiettivo cosa ci poteva essere di meglio rispetto a un titolo di Campione del Mondo assegnato in un singolo giorno?
Ma a questo punto dobbiamo fare un doveroso inciso. Gli sponsor il più delle volte definiscono anche le strategie. Lo abbiamo visto prima con le Finals, on ci sono dubbi. Ma sotto certi aspetti questa dinamica può essere anche un filo pericolosa.
A gennaio Tommaso Pardini scriveva: “Le grandi aziende di settore […] stanno mano a mano abbandonando le competizioni lasciando spazio a marchi extra settoriali che portano ingenti somme di denaro. Queste collaborazioni però, spesso, si esauriscono nello spazio di un paio di edizioni”. Billabong infatti ha lasciato il Pipeline Pro dopo 17 anni. Al suo posto il marchio automotive Lexus, sponsor anche delle finali a Trestles e dell’US Open of Surfing che si è tenuto lo scorso agosto. E qui una domanda che magari vi state ponendo: cosa succederebbe se la situazione cambiasse repentinamente? È già successo in passato.
Coca-Cola contro Pepsi: una storica contesa per assicurarsi i diritti sul surf professionistico.
A pensare ai due brand coinvolti in questa storia viene un po’ di nostalgia. No, non per il confronto con quelli attuali della WSL: Lexus, Apple, Jeep, Samsung non sono ovviamente da meno. Piuttosto il primo protagonista, Coca-Cola, mi rammenta quel tour che ho letto e sognato. Quello con Kelly e Andy. Quello con la parola “Dream” davanti, ora visibile su The WSL Vault o in qualche video su YouTube.
Siamo nel 1993 e a dispetto della super generazione che popola le lineup della ASP non c’è nessun Dirk Ziff a investire sul CT. Ian Cairns tra l’altro si è dimesso dalla lega che lui stesso ha fondato, passando il testimone al mitico Graham “Syd” Cassidy. Scrivo mitico perché Graham ha una grande idea in testa. Per prima cosa, nel 1986, sposta il quartier generale da Los Angeles a Sidney e poi dice: “Noi, in quanto surf professionistico, abbiamo la necessità di recarci dove ci sono delle reali potenzialità di guadagno (altro che mentalità Beach Bum, nda). Parliamoci chiaro: ci sono molti milionari a Huntington Beach che potrebbero investire nel surf, eppure nessuno di loro lo ha ancora fatto”.
Queste dichiarazioni diedero il via ad una rifondazione, come a dire che la ASP si sarebbe spostata dove c’erano i soldi, o almeno dove sperava di trovarli. Li troverà Syd? In realtà quello che spera è un mega contratto proprio con Coca-Cola, già sponsor del secondo evento economicamente più profittevole del Tour: il famoso Coke Classic. Graham vuole che la società con sede ad Atlanta diventi il main sponsor di un nuovo Championship Tour. Non prendetevi solo un contest, sembra suggerire: l’intera posta è qui che vi aspetta. Coca-Cola risponde con un secco no, spegnendo sul nascere ogni sogno di gloria. Un game over che avrebbe messo KO chiunque.
Ma Graham non è chiunque. E poi ha un piano B. Una seconda ipotesi rischiosa, certo, ma che potrebbe anche funzionare. La strategia è la seguente: pochi mesi dopo il rifiuto della Coca-Cola, Syd infatti si inventa uno speciality event denominato “Surf the Edge”. Allo stesso tempo pianifica di cedere la licenza di utilizzo di alcuni contest per degli spot pubblicitari. Ne ricava una cifra considerevole: 1 milione di dollari alias ossigeno puro per le casse della ASP. Il finanziatore di tutto? Indovinate un po’, la Pepsi-Cola. Da questo punto in avanti cambia ovviamente ogni cosa. La Coca-Cola infatti non ci sta a perdere terreno nei confronti della new generation e così rilancia con una controfferta incredibile. Non solo sponsorizza l’intero Tour ‘93, ma firma persino un contratto della durata di tre anni. Insomma, game over sì. Ma al contrario.
La solidità della WSL, una fortuna non scontata.
Gli sponsor sono importanti, indispensabili. Senza di loro non ci sarebbe il Tour che amiamo. Ma al tempo stesso queste storie ci fanno capire quanto la relazione tra dei potenziali finanziatori privati ingombranti e la lega sia delicata e complessa. Il rischio è che la programmazione del futuro del pro surfing finisca anche nelle mani dei brand. Ecco perché è così importante avere un’organizzazione strutturata, capace di sostenere gli scossoni che potrebbero arrivare. Forse con la WSL abbiamo raggiunto una stabilità che possiamo iniziare ad apprezzare. Dopotutto, al di là delle polemiche sul nuovo format, possiamo guardare all’anno successivo sapendo che un Tour ci sarà. Sempre e comunque. Un aspetto, in fondo, che non dobbiamo mai dare per scontato.