Parliamoci chiaro: per essere persone che vivono a stretto contatto con la natura, noi surfisti potremmo fare di più per l’ambiente. L’attrezzatura che utilizziamo per andare in mare nasce da processi chimici gravemente inquinanti. Non è facile schivare le bucce di banana che i grandi brand del surf seminano nel mercato, essere al 100% eco-friendly è praticamente impossibile, ma le nostre scelte d’acquisto possono influire sul futuro di chi di riflesso soffre questi processi industriali sconsiderati.
Come si legge dal sito di presentazione del documentario “The Big Sea”, la surfing industry, settore che oggi vale 10 miliardi di dollari, cela uno sporco segreto. Le mute da surf, come tutti sappiamo, sono fatte di neoprene, una gomma sintetica che viene prodotta tramite processi chimici tossici e cancerogeni. Lewis Arnold e Chris Nelson, giornalisti investigativi, storyteller e soprattutto surfisti, hanno indagato sulla questione per portare alla luce delle verità di cui tutti dovremmo essere a conoscenza.

La storia di “The Big Sea” comincia nella cittadina di Reserve, in Lousiana, nell’epicentro di un’area chiamata “Cancer Alley”, il viale del cancro. In questa zona nel sud degli Stati Uniti fortemente industrializzata il rischio di contrarre il cancro è 50 volte più alto che nel resto del paese.
Ho letto che siete stati ad investigare in America, Australia ed Europa ma credevo che il 90% delle mute in neoprene fossero fabbricate in paesi dell’Asia come Cina, Thailandia e Giappone: non è così?
La maggioranza delle mute da surf sono fatte di una sostanza che si chiama gomma di cloroprene, commercialmente detta neoprene. Le mute possono essere prodotte in diversi paesi ma la materia prima, il cloroprene o neoprene, viene prodotta da due fabbriche predominanti nel mercato: una è in Louisiana, l’altra in Giappone. Gli impianti sono entrambi di proprietà di una società giapponese che si chiama Denka. Questa è la premessa della nostra indagine.
Avete provato a contattare qualcuno che è dentro le grandi aziende del surf?
Abbiamo parlato con parecchi surf brand, una delle persone intervistate nel documentario rappresenta Boardriders (gruppo che comprende Quiksilver, Roxy, Billabong, RVCA, DC, Element, Vonzipper). Tutti comunque hanno ricevuto da parte nostra un invito al diritto di replica. Con alcuni stiamo interagendo, altri non hanno mai risposto.
Chi ha risposto si è mostrato collaborativo?
Generalmente i surf brand non sono disposti a farci sapere da chi comprano il neoprene. È possibile che siano aperti a parlare d’altro, ma non stanno rispondendo a questa domanda.
Beh, sembra quasi un’ammissione di colpa…
Noi sappiamo che tutti comprano da Denka ma non vogliono ammetterlo. Se non hanno nulla da nascondere, perché non ne parlano apertamente? C’è anche da dire che alcuni dei grandi brand dovranno per forza esporsi: ad esempio Rip Curl, che da poco è stata certificata come B-Corp, ha l’obbligo di rendere pubblicamente disponibile la propria supply chain. Dovranno ammettere che anche il loro neoprene arriva da Denka.


Ma scusate com’è possibile che una B-Corp possa approvvigionarsi da una compagnia che rilascia nell’aria sostanze cancerogene?
La nostra opinione è che uno degli obiettivi primari di una B-Corp sia reperire materie prime soltanto da produttori etici. Denka ha una fabbrica in Louisiana, in una zona detta “Cancer Alley”, dove la popolazione locale è soggetta ad un rischio di contrarre il cancro cinquanta volte maggiore rispetto al resto degli Stati Uniti. L’agenzia ambientale degli USA sta preparando una causa nel confronti di Denka, non sono nostre supposizioni, parliamo di fatti. Alcuni brand ci dicono genericamente di prendere il neoprene dal Giappone, ma sappiamo che in Giappone è lo stesso: se vai a comprare il neoprene lì, sei in affari con Denka. Non siamo ancora riusciti ad arrivare in Giappone per investigare di persona, ma non ci siamo arresi.
Torniamo sull’impianto industriale in Louisiana: potete raccontarmi di più?
La fabbrica Denka in Louisiana sorge in una vasta area iper-industrializzata conosciuta col nome di “Cancer Alley” (il viale del cancro, ndr). L’agglomerato di fabbriche è impressionante, tutte contribuiscono all’inquinamento dell’aria, ma intorno all’impianto di produzione del neoprene si registrano i dati peggiori. Le famiglie che abitano nelle case più vicine alla fabbrica Denka sono quelle con la maggior incidenza di cancro.

Immagino che chi gli abitanti della zona siano impiegati dell’azienda, no?
No, non è così. Tutti pensano sia così ma invece no. E questo rende la situazione ancora più drammatica.
E allora perché non vanno via?
Perché quelle persone vivono lì da prima che venisse costruita la fabbrica. In passato quell’area era ricca di piantagioni di canna da zucchero dove gli antenati degli attuali abitanti lavoravano come schiavi. Con tanti sacrifici hanno costruito lì le proprie case, gli era stata promessa una vita serena e tranquilla.
Quindi da dove vengono le persone che lavorano nella fabbrica?
Purtroppo nessuno vuole parlare: gli abitanti del posto hanno paura di esporsi perché sono stati minacciati di perdere il lavoro, la compagnia ovviamente non vuole condividere con noi una lista coi nominativi delle persone impiegate. Chi lavora in posizioni sensibili all’interno dell’azienda va e viene da altri stati dell’America, tornano sempre a casa per il weekend. Le uniche persone che vivono nell’area impiegate nell’azienda hanno ruoli legati alla security. Devi pensare che tutto il perimetro dell’impianto è presidiato da addetti alla sicurezza, un dispiegamento di risorse notevole. Se solo provi a fare una foto vieni subito intercettato. La chiave sarebbe parlare con le persone della sicurezza ma ancora non siamo riusciti ad ottenere informazioni.
Ma invece sapete dirmi in che percentuale il cloroprene prodotto dalla fabbrica Denka in Louisiana viene convertito in neoprene per mute da surf?
Non abbiamo dati certi purtroppo ma siamo riusciti a ricostruire partendo dal dato generale: se scomponi la quantità di cloroprene prodotta ogni anno a livello globale, la fetta destinata alla surfing industry si attesta intorno al 10% del totale. La maggior parte del cloroprene viene utilizzato per produrre pneumatici e colle.
Il 10% del totale è sufficiente per costruire la storia attorno al surf?
Sì perché Denka stessa utilizza il surf per pulirsi la coscienza, si sono appropriati del surf per raccontare la storia che anche per merito loro i surfisti possono stare in mare a godersi la natura. Con questo documentario vorremmo che i surfisti potessero prendere coscienza di cosa sta accadendo alle loro spalle, vorremmo che la comunità dei surfisti potesse agire per prendere in mano la situazione. Scavando a fondo ci siamo accorti che anche se esistono delle alternative per mute da surf sostenibili, i surf brand non vogliono prenderle in considerazione perché troppo costose.
Quali sono le alternative al neoprene sintetico?
Gomme naturali come lo yulex, l’alternativa più promettente, proveniente da piantagioni con certificazione FSC. Sappiamo che nel pianeta terra sono disponibili attualmente 13 milioni di tonnellate metriche di gomma naturale. Per soddisfare la produzione di mute da surf basterebbero 2 milioni e mezzo di tonnellate metriche di neoprene. Non sto dicendo sia semplice, perché ad esempio parecchia gomma naturale viene prodotta in Africa in zone di conflitto e da fonti non certificate. Mi è stato detto però da chi già utilizza la gomma yulex che se tutti i produttori di mute da surf decidessero di passare allo yulex, il processo di transizione verrebbe completato in appena 18 mesi.

Al di là di Patagonia che notoriamente produce mute in yulex da anni, sapete se altri brand stanno intraprendendo la strada della sostenibilità?
Patagonia non è la sola, anche se viene percepito così. Billabong ad esempio ha alcune mute di yulex, anche Srface e Needessentials. Molti brand stanno già utilizzando lo yulex. Questi brand per anni hanno venduto il neoprene limestone come un’alternativa al neoprene sintetico, immaginati perciò dire adesso alla propria clientela: scusate scherzavamo, la vera alternativa sostenibile è lo yulex, una gomma naturale che deriva da un albero. Quindi siamo uno step avanti: la maggior parte dei grandi brand hanno testato la gomma naturale, hanno accertato che funziona bene quanto il neoprene, ma devono capire come comunicare questa giravolta al proprio pubblico. Comunque non è impossibile che ciò accada nel breve termine. Ad esempio guarda cos’è successo nell’automotive: quante volte hanno cambiato idea? Prima le macchine dovevano essere solo a benzina per non inquinare, poi era meglio il diesel, adesso siamo tornati alla benzina e c’è sempre l’elettrico sullo sfondo.
Vorreste lanciare un messaggio alla nostra community?
Attraverso il sito potete sostenere la produzione di The Big Sea in diversi modi, anche semplicemente firmando una petizione. I surfisti nel mondo possono aiutare una comunità di persone che vive con un rischio di contrarre malattie gravi che non sarebbe mai tollerato in nessun altro paese del mondo, tantomeno in Italia. Gli abitanti del “Cancer Alley” non hanno rappresentanti né avvocati per difendersi, ma se i surfisti nel mondo decidono di non acquistare più mute in neoprene sintetico allora le cose possono cambiare. Le scelte che noi come surfisti faremo la prossima volta che dovremo comprare una muta determineranno il futuro di queste persone.
