di Nik Zanella
È bastata una sola session. Un pungente odore d’incenso sparato nel vento da terra, uno squaletto da reef che mi ispeziona timido, due giri attorno ai miei piedi poi via, pochi secondi prima del set. I miei pensieri vanno a Lance Knight, alla sua prima session ad Hollow Trees nei primi anni ‘90. Le due onde si assomigliano molto ed entrambi ci siamo di sicuro posti la stessa domanda: cosa sarei disposto a fare per surfare onde vuote e perfette? Tagliare i ponti col passato? Diventare un fuoricasta in una terra straniera? Parto sulla terza onda del set e 300 metri dopo trovo tutte le risposte.
I locali qui credono in un inferno Taoista, governato da Matsu, una dea bellissima e spocchiosa, capace di prevedere le mareggiate, salvare naufraghi, o schiantare la tua barca durante un tifone. Questo reef è il suo altare sacrificale: 25 secondi di corsa col cuore in gola, tubo dopo tubo a soli cento metri dal suo tempietto. Otto, dieci onde per set poi piatta assoluta, per 20 minuti.
Non sono stato il primo ad innamorarmi di Matsu. La leggenda narra di un gruppo di surfisti giapponesi di mezza età, finiti qui per caso a metà degli anni ‘90. La surfarono un paio di giorni poi tornarono a nord, sulle permissive sinistre. L’onda era troppo veloce, il reef troppo tagliente. Poi il vuoto fino ai primi del 2000 quando alcuni surfisti americani e australiani iniziarono a visitarla più o meno regolarmente. Mike, Nathan, Devin, sono stati loro a guidarmi attraverso le sotto-divinità del luogo: la roccia da cui ci si tuffa, la line-up di fronte a Camel Rock, i punti in cui non puoi assolutamente cadere. Loro avevano una vita normale in città, e venivano giù quando le previ erano buone. Io e Olga eravamo gli unici a vivere qui: due ristoranti infestati dai topi, zero supermercati, nessuna farmacia, solo un mercato mefitico in cui i polli venivano sgozzati di fronte ai tuoi occhi, lasciati a sanguinare in un cesto di saggina finché non smettevano di muoversi. Presto rimasi solo in Cina, il paese più popoloso al mondo, e stavo da Dio.
In otto anni ho versato la mia dose di sangue e lacrime su questo altare: cinque punti di sutura in testa, zampate di tigre sulla schiena, tavole spezzate e abbastanza tagli infetti da tener impegnato un pronto soccorso per settimane. Altri hanno pagato un prezzo anche più alto, come mio fratello Junjun, un pioniere in Cina, partito su un double-up che nessuno voleva e finito in ospedale con la milza spappolata. Una settimana in semi-coma, facemmo una colletta per pagargli le cure.
L’onda è una bomba, forse l’unica veramente world-class in tutto il paese. E di costa qui ne ho macinata, da Hainan al sud fino alle spiagge gelide dello Shandong, tremila chilometri più a nord, attraverso cinque province e tre fasce climatiche.
Il covid ha cacciato quasi tutti gli stranieri dal paese nel 2020, e io mi sono spostato più a nord per motivi di lavoro. Con 1.4 miliardi di cinesi impossibilitati a viaggiare all’estero il turismo interno è letteralmente esploso, trasformando il paesello in una specie di Taghazout asiatica. Una selva di scuole surf e bar alla moda ora operano nella spiaggia riparata, dall’altra parte del cliff, ma quando un tifone si infila sul track giusto, spingendo 17 secondi di periodo nello stretto tra Taiwan e le Filippine, là fuori non c’è quasi nessuno. E se stai pensando di prenotare un volo e passare le vacanze qui, fermati proprio. A proteggerla non è solo il reef tagliente o la sua natura imprevedibile, ma anche l’Esercito di Liberazione che ha scelto questo tratto di costa per una delle sua basi operative in Cina. Solo i residenti registrati nel villaggio sono tollerati oltre il confine, e non si sa ancora per quanto. Tutti gli altri, incluso me, fuori.
Lo scorso giugno uno dei miei ex atleti della nazionale (Nik è coach della Cina, ascolta il suo podcast) Liu Wangyao, appena tornato da due mesi a Nias, mi ha mandato queste foto accompagnate da un messaggio su wechat: “Coach check this out, we miss you out there”. Ero in italia con la mia famiglia, il primo ritorno a casa dopo tre anni di lock-down a singhiozzo, centinaia di test nucleici e divieti di spostamento. Quel pungente odore di incenso è di colpo riemerso dal mio ipotalamo. Non sono riuscito a parlare per un’ora.
Forse un giorno le relazioni internazionali saranno più rilassate, la base militare si sposterà altrove, e viaggiare verso l’Asia per inseguire tifoni diverrà la norma. Ma fino ad allora Matsu ballerà da sola, o quasi. Di sicuro non con me, di sicuro non con te.