Nik Zanella è un libro di storia del surf. In parte perché l’ha fatta e vissuta, in parte perché la conosce come pochi altri. Una delle persone più competenti del mondo in materia di surfing culture, formatore della ISA (International Surfing Association), allenatore della nazionale cinese e soprattutto surfista esploratore.
Per semplificare l’ascolto del podcast abbiamo diviso in due la chiacchierata: il periodo italiano, che ruota attorno al lavoro di SurfNews, e successivamente il periodo cinese, incentrato sull’esperienza decennale di Nik come surf-guru di una delle nazioni più potenti al mondo.
Quando entro in modalità ascolto per memorizzare le informazioni cerco di concentrarmi su alcuni fatti salienti, dando un mini titolo ad alcuni passaggi. Metto in evidenza alcuni highlights estratti da un podcast veramente denso di aneddoti.
Figlio della costa est
Nik Zanella è nato a Ferrara ma rivendica la sua appartenenza a Ravenna, dove ha vissuto per la maggior parte della sua permanenza in Italia: “Ho preso la prima onda a 14 anni a Casal Borsetti alzandomi su una tavola da windsurf. Finite le superiori ho fatto un trip suicida negli Stati Uniti con un budget ridicolo, un coast to coast da New York a San Diego, dove ho passato qualche giornata in acqua a surfare. Tornato a casa attraverso la passione per lo skate ho preso contatto con la scena ravennate. Non sapevo si potesse fare surf in Italia”.
L’uomo che ha messo gli spot dell’Italia sulle mappe
L’ha fatto letteralmente. Io questo me lo ricordavo perché nel 2017 partecipai al primo corso per istruttori di surf ISA co-organizzato con la Fisw. Nik Zanella era presente in qualità di formatore e capo commissione. Scambiammo quattro chiacchiere all’epoca e mi raccontò di esser stato lui negli anni ’90 a censire tutti gli spot d’Italia. Me lo sono fatto rispiegare: “Nei primi anni ’90 entrai in contatto con i fondatori di Surfline che pubblicavano una surf guide di quasi tutti gli stati del mondo, si chiamava “Surf Report”. Io risposi per corrispondenza con una mappa degli spot italiani e relative informazioni. Successivamente, qualche anno dopo, gli autori di Stormrider Guide ci commissionarono la sezione dell’Italia, che uscì gigante, su tantissime pagine. Gli spot che sono su Magicseaweed derivano da quel lavoro fatto con Stormrider Guide, che è partner di MSW”.
“Il local ha sempre ragione”
Oggi sarebbe impensabile svelare nomi e location di spot di cui molti ignorano l’esistenza, non mi stupirei di assistere ad un’escalation di minacce social e qualche imbruttita. Come avranno affrontato la questione Nik e soci all’epoca? “Le nostre regole di ingaggio con i locali sono sempre state chiare: i locali hanno sempre ragione, anche quando hanno torto. Quando andavamo in uno spot in macchina, la prima cosa che facevamo era concordare una linea con gli abitanti del posto. A volte semplicemente barattavamo accesso all’onda con il silenzio assoluto. Alcuni tratti della costa dell’Italia rimangono ancora nell’anonimato, ma noi abbiamo battuto quelle zone tanti anni fa. Però non doveva uscire niente e niente è mai uscito”.
È possibile vivere di surf in Italia?
Chi segue il podcast sa bene che questa è una domanda ricorrente delle nostre interviste. Vivere di surf in Italia è per molti un sogno che spesso rimane tale. Nik Zanella con SurfNews ha riscritto le regole: “Nel 2007 vendevamo una pagina di pubblicità singola dai 1500 ai 2000€. Campavamo in 3 famiglie con SurfNews, non ci mancava niente. I viaggi di esplorazione che progettavamo li facevamo per arricchimento personalmente ma anche con l’intento di vendere la storia. All’epoca quando ti pubblicavano un articolo come “Seguendo Virgilio”, la ricerca di onde in Nordafrica sulle tracce dell’Eneide, portavi a casa anche 2000 euro. E le foto erano pagate a parte. Si stava bene, erano altri tempi”.
Surfi in Corea del Nord e poi…“Sì pronto, è la BBC che parla”
Le persone che hanno avuto l’opportunità di surfare in Corea del Nord, il paese più militarizzato del mondo, si contano sulle dita di una mano. Una di queste è Nik Zanella from Ferrara. La storia in breve: “Dal 2015 al 2017 ho fatto tre viaggi di surf diplomacy. Ho dovuto fare uno scouting degli spot via satellite, perché mi era stato chiesto di mandare un piano esplorativo di base. Ovviamente la maggior parte dei siti erano interdetti ai non militari. Di tutte le aree che avevo individuato, mi hanno detto di sì a due. In una c’era un point destro, quindi ho abbastanza sculato”.
Al di là dell’aspetto meramente surfistico, da persona di cultura qual è Nik mette in evidenza che “è stato interessante vedere come fosse percepito il wave riding da una popolazione completamente priva di riferimenti, immagini e video. Loro semplicemente non sapevano che si potesse surfare”. Il viaggio di surf più mediatico della storia ha messo Nik Zanella nel mirino di testate internazionali come BBC o Guardian, che al ritorno dal viaggio l’hanno subito cercato per un’intervista: “Mi accusavano velatamente di aver collaborato col regime, mi chiedevano che effetto mi avesse fatto surfare in un paese dove torturano la gente. La mia risposta era semplice: non credo che il surf sia uno sport che ti rende libero, ma è sicuramente uno sport che ti fa sentire libero. E nessuno più dei nordcoreani ha bisogno di questo adesso”.
Il rapporto con la Cina e quel tubo che segnò la svolta
Come scritto in apertura, Nik Zanella ha studiato all’università la cultura e la lingua della Cina. Nel 2006 il suo primo viaggio di surf nella Terra del Dragone, dove tornò altre volte negli anni successivi. In virtù della sua conoscenza dell’area e della sua posizione di prestigio nell’ambiente del surf internazionale, nel 2010 Nik insieme ad Emiliano Cataldi ed altri esploratori del suo team fu invitato dal governo ad un evento sul surf ad Hainan, l’isola grande poco più della Sicilia dove Zanella vive ancora adesso. Con la mente torna a quei giorni: “Ricordo distintamente il giorno in cui con Emi andammo a surfare un beachbreak qui ad Hainan. Non c’era nessuno, le onde erano veramente belle. Ho preso un tubo e all’uscita di quel tubo ho detto: Emi io mi trasferisco, vengo a stare qua. All’epoca ero stanco della routine italiana, volevo cambiare aria. Mi sono tenuto in contatto con gli organizzatori dell’evento a cui ero stato invitato e nel 2011 ho trovato una scusa per tornare, un lavoro nel turismo con un’agenzia che organizzava surfcamp. All’inizio vivevo in un villaggetto di pescatori con vista su un point destro lungo 300 metri, dove ho surfato da solo per anni. Nel periodo successivo ho partecipato all’organizzazione di tutti gli eventi internazionali che ci sono stati ad Hainan, mondiali e gare internazionali sia ISA che WSL”.
La Cina fa sul serio anche col surf
“Nel 2016 quando il surf è diventato olimpico nel resto del mondo le varie nazionali si sono preoccupate di selezionare i migliori tra migliaia di freesurfer, giusto? Qui i freesurfer non esistevano, o comunque erano pochissimi, quindi a me è stato assegnato il compito di reclutare da zero i ragazzini che ora, sette anni dopo, partecipano alle competizioni internazionali”. Immaginatevi la potenza economica, organizzativa e sociale della Cina: puoi arrivare ad avere chiunque degli 1,4 miliardi di abitanti del paese. Facendo salve le fasce d’età over 16, parliamo comunque di numeri spaventosi. Ci sarà per forza un potenziale Griffin Colapinto, un Leo Fioravanti, uno Yago Dora lì in mezzo. Sì ma come fai a trovarlo? Nik Zanella ci spiega il sistema: “Ogni provincia seleziona un gruppo di ragazzini da mandare al recruiting camp. Per valutare dei bambini che non hanno mai fatto surf nella loro vita ho messo in piedi una serie di prove attitudinali: li faccio nuotare a stile, li metto su uno skate per testare l’equilibrio, gli si fa una versione allargata della Lezione 1 dell’ISA per vedere come reagiscono. Anche la corporatura fisica gioca una parte importante: non vogliamo spilungoni magri magri né bambini predisposti ad ingrassare. Di solito vanno molto bene i ragazzi che vengono dalla ginnastica. Una volta reclutati i bambini diventano dei professionisti a tutti gli effetti, vivono facendo questo di lavoro, anche se hanno 9 o 10 anni. Mangia, dormi, surfa e studia”.
La Cina ha l’obiettivo mi spiegava Nik di vincere una medaglia alle Olimpiadi di Los Angeles nel 2028. Ogni squadra provinciale (circa 20 ragazzi per team) ha a disposizione un pullman da 50 posti, 2 cuochi full time, un albergo e un magazzino di tavole “fuori controllo”, per citare coach Zanella. Tavole cinesi? “Col cazzo, tutte Sharpeye. Ci tengo anche a dire che usiamo solo Fu-Wax, che qui costa una fortuna, tipo 10 euro a panetto”. Severo ma giusto, anche se forse ai suoi superiori non piacerà una risposta così schietta. Speriamo non gli levino la Fu-Wax!
Children of the Tide: la storia della Cina attraverso il surf
L’ho acquistato poco prima di fare quest’intervista quindi non l’ho ancora letto, ma saprò dirvi. A giudicare dai precedenti ho il forte presentimento che “Children of the Tide”, l’ultima pubblicazione di Nik Zanella, sarà un gran bel viaggio. Nik premette: “Nel 2006 in un viaggio nell’entroterra ho trovato un tempio con una scultura del 1880 in cui erano rappresentati dei surfisti. Il surf a quell’epoca non aveva ancora fatto il salto dalla cultura polinesiana al mondo occidentale, quindi doveva per forza esserci una storia parallela. Ho chiesto informazioni al monaco che mi ha scritto su un foglio di carta tre simboli, che tradotti appunto significano: children of the tide. Comincia così una storia in cui le mie esperienze personali si incrociano con la ricerca delle fonti”. Il libro “Children of the Tide” di Nik Zanella è disponibile su Amazon.