Di Ertha Surfboards avevate già sentito parlare per la particolare e graditissima offerta di lavoro promossa tramite queste pagine. Ertha è una startup innovativa a forte trazione tecnologica e con l’ambiziosa mission di rendere il surf meno inquinante. Ettore Burdese durante quest’ultimo podcast mi ha presentato un dato particolarmente suggestivo: “Ogni anno vengono prodotte 13 milioni di tavole, che se appoggiate per terra una affianco (e sopra) l’altra coprirebbero la Galizia per 10cm di altezza. È tantissima plastica immessa nel sistema solo per il nostro divertimento”. Niente male, che dite?
Riprendiamo dall’inizio però: chi è Ettore Burdese? Architetto e disegnatore industriale, Ettore è stato negli anni ’90 uno dei protagonisti della scena del surf italiano. Come peraltro testimoniano queste riviste dell’epoca, quando finire in copertina era una soddisfazione unica, inspiegabile alle nuove generazioni.
Nella sua breve ma intesa carriera da architetto, Ettore ha presto realizzato presto di ambire ad una vita con vista sull’oceano: pausa pranzo in mare, weekend a caccia di onde, l’alternanza lavoro-surf come benefit insindacabile. Vince una borsa di studio ed invece che lo studio di architettura super titolato a Londra, sceglie la Galizia: “Ve l’avevo già detto e non dovrei ripetermi, ma qui l’affollamento ancora non esiste. La Galizia è un posto fantastico e pieno di stimoli”. Dall’incontro con Cesar Castro, falegname con spiccate skills tecnologiche, un Tony Stark galiego, nasce l’idea di Ertha Surfboards.
Spiega Ettore: “Abbiamo iniziato questa impresa con l’obiettivo di sostituire i materiali a base di petrolio con materiali riciclati o rinnovabili e organici. C’è l’esempio di successo dei pad in sughero realizzati per Jam Traction, un caso che ci insegna a credere in materiali organici che abbiano le stesse proprietà fisiche dei petrolati. Per le tavole usiamo tanto legno di paulonia e lino”.
La cosa interessante è che arrivati a questo punto del racconto abbiamo appena iniziato a grattare la superficie dell’innovatività di Ertha. Leggete bene: “Non c’è uno shaper inteso in senso tradizionale, i disegni delle nostre tavole sono frutto dei calcoli di un algoritmo”. Ho capito che ad Ettore & Co. piacciono le sfide, ma questa è grossa. Allora lo incalzo: da dove prende le informazioni l’algoritmo? “Gli facciamo studiare tutti gli shape di comprovato successo per una categoria di tavola – spiega il Ceo di Ertha -, tipo, che so: i fish performanti. Il nostro modello è la somma di tante cose buone meno gli errori che solitamente commettono le shape machine”.
I più attenti avranno notato che l’ultima frase si conclude con un sospeso, perché Ettore fa intendere, puntando il dito, che le shape machine commettano errori. In effetti, ho scoperto in questa terza puntata di Arti & Misteri, che è così: “Le macchine per costruire le tavole hanno un sistema di fissaggio molto approssimativo, con due soli punti di ancoraggio in punta e coda. Quando la tavola esce dalla shape machine infatti si ha un pre-shape, che è pieno di errori nati dal fatto che la tavola non è ferma durante il processo. Noi usiamo tutt’altro tipo di macchina, che si usa generalmente in falegnameria e sicuramente per fare altre cose. Con il nostro metodo saltiamo un passaggio di perfezionamento umano e andiamo direttamente al glassing. Il margine di errore sulle nostre tavole è di 0,001 millimetro”. Le forme della tavola le decide un computer e l’artigiano che levigava i rail prima di andare alla resinatura è stato fatto fuori. Ammiro questo spirito d’intraprendenza, il team di Ertha Surfboards ha le palle perché ci vuole coraggio – e un pizzico di follia – per proporre tutti questi cambiamenti insieme in un contesto tradizionalista e conservatore come quello del surf.