di Luca Filidei
1) J-Bay 2015: three world champs. One heat.
Partiamo da qui. Già scrivere J-Bay 2015 mi mette i brividi. No, non solo per quello che è avvenuto in finale (ne parleremo qualche riga più in basso), ma anche per via di questa heat fuori dal comune. La World Surf League la pubblicizzò come Superheat… e in effetti basta guardare i tre protagonisti per esclamare: WHAT?!? Ragazzi, stiamo parlando di Medina, Fanning e Slater in acqua nello stesso momento. Un qualcosa che neanche nelle Finals…ecco, chissà se proprio quella Superheat non abbia promosso qualche riflessione (magari a una persona di nome Erik) riguardo alla possibilità di creare una top league nella top league, quello che oggi avviene attraverso il mid-season cut e l’ultimo evento a Trestles. Tornando al 2015, i punteggi in realtà non furono così spaventosi: Gabriel passò direttamente ai quarti con uno score di 12.90, mentre Slater e Fanning dovettero affrontare il round 5. Caso vuole che proprio Kelly, dopo aver battuto Bourez, fosse finito 1 vs 1 contro Medina. Altra heat straordinaria con Slater che a 43 anni rifila un 9.10 e un 9 al campione brasiliano. In semifinale, manco a farlo apposta, trova il numero 7 che è in piena corsa verso il titolo. Kelly prende un 9.43, Mick un 9.63. Gli ultimi minuti vedranno The GOAT attendere disperatamente un’onda che… non arriverà, aprendo a Fanning le porte della finale.
2) Lo squalo. No, non quello di Spielberg.
Un momento spaventoso. Si potrebbe chiudere qui e passare al prossimo punto. Però no, qualche parola bisogna pur dirla. Ricordo bene il momento in cui Mick venne attaccato. “Uscite fuori dall’acqua!” è la frase che immagino sia stata urlata quel giorno a J-Bay. Purtroppo non si trattava di Roy Scheider (alias Martin Brody nel cult di Spielberg). Lì era tutto reale. Sì, tremendamente reale. Alla fine ogni cosa è andata nel migliore dei modi e fortunatamente ci siamo potuti godere uno straordinario campionato deciso solo a Pipe. Inutile dire che quel giorno resterà nella storia del surf. E questo anche per via di quell’incredibile (e un tantino grottesca) popolarità che la tragedia sfiorata ottenne sui media. In quei giorni ne parlò chiunque. I TG di tutto il mondo mandarono in onda le immagini nell’edizione serale. Il surf stava diventando popolarissimo per via di uno squalo. Personalmente voglio ricordare l’abbraccio tra Slater e Mick: intimo, intenso, sincero. Non dimentichiamocelo. Anche quello doveva essere trasmesso dai TG…
3) Lo spaventoso air di Kelly a Trestles nel 2015.
Sì, ancora The GOAT e ancora Fanning. In quell’anno se le sono davvero date di santa ragione. Questa volta lo spot era Trestles, lo stesso dove ora si svolgono le Finals. Il tifo però era uguale. La California al suo meglio. Round 5. Minuto 26 della heat, Kelly prende una seconda onda con Mick ancora a 0 e poi compie una manovra che è inutile descrivere, meglio guardarla su YouTube. Martin Potter, allora commentatore della World Surf League, disse: “Non saprei nemmeno come chiamarla”. Ora, dopo averla guardata, rispondete a questa domanda: che score dareste per un gesto simile? Rispondete e poi continuate nella lettura…i giudici risposero 4.17 perché la manovra secondo loro era incompleta. Inutile dire che i (tanti) fan di Slater si arrabbiarono. Lo stesso Peter Mel, altro commentatore, si lasciò sfuggire un “non posso credere che fosse un 4.17”. Il punteggio ovviamente restò così. E poco importa se Kelly ottenne nella stessa heat uno score complessivo di 14.90. Quello che molti ricordano è la sconfitta contro Mick e poi (soprattutto) quell’air spaventoso che solo Slater avrebbe potuto inventarsi. Le proteste forse non si placheranno mai. E una conferma di ciò sono i commenti apparsi sui social durante l’Hurley Pro Sunset Beach di quest’anno. Vi ricordate l’ultima onda di Kelly nella heat persa sul filo contro Ethan Ewing? Bene, ecco uno dei commenti alla manovra: “Quel 360 era unico!”. Il voto dei giudici? 4.93, non abbastanza per passare agli ottavi. Eh sì, siamo sempre messi così.
4) Il take-off da kamikaze di Mason Ho.
Semifinale dell’edizione 2015. Fanning e De Souza in lotta per il titolo. Mick esce contro Medina in semifinale e se Adriano passa è campione del mondo. Non è facile ricordare un’ultima tappa così combattuta. A distanza certo, ma forse neanche troppo. Ricordo Fanning sulla spiaggia con gli occhiali da sole e tanta, tantissima tensione. E poi Mason Ho in acqua a fronteggiare De Souza. Mick gli avrebbe persino fatto da caddy. L’importante era che vincesse. Già, il numero 7 tifava per Ho, eccome se tifava. Eppure le motivazioni di Mason potevano essere tutt’altro che solide rispetto a quelle di Adriano. Ovvio, vincere a Pipe sarebbe stato straordinario e il traguardo non era nemmeno tanto lontano. Immaginate cosa avrebbe voluto dire per la dinastia degli Ho… lo zio Derek, campione del mondo 1993 purtroppo scomparso nel 2020, sarebbe stato felicissimo… e così Mason ce la mise proprio tutta, infuocando una heat con onde difficili. Otto punteggi a testa con un max heat score di 4.00 (che si traduce in un match apertissimo). Una paddle battle da record olimpionico. Una tavola rotta (per Mason). Diversi wipeout pesanti (per entrambi). E poi…ah sì, quel take-off, l’onda che Ho stava quasi per prendere al minuto 11 avrà fatto sudare freddo De Souza. Una bomba di Backdoor che avrebbe fatto schizzare il punteggio, ad Ho serviva solo un 1.18. Take-off da kamikaze, persino troppo, devastante (ennesimo) wipeout e il resto è storia. Compresa l’espressione di Fanning, tormentato da quel WHAT IF? Eh già, perché Ho quell’onda la stava quasi per prendere.
5) Pipeline’s for the f**king girls.
Carissa Moore si ritira. Steph Gilmore prende un anno di pausa. Non sarà mica cominciata un’era di crisi per il surf femminile, vero? Ma no, non scherziamo, ci rispondono subito in coro Molly Picklum, Bettylou Sakura Johnson e Caitlin Simmers. Le tre riportano sulla carta d’identità 2002, 2005 e 2005. Qui stiamo parlando di una nuova generazione, altro che periodo difficile. La semifinale tra Molly e Bettylou poi resterà nella storia. Il 10 guadagnato dall’australiana rientrerà in qualche futuro libro di Matt Warshaw (sì, anche l’8.33 di Johnson). Senza dimenticare (ragazzi, non scherziamo) la finalissima contro Caitlin. Bombe su bombe prese senza risparmiarsi, e infine quella frase detta dalla vincitrice Simmers a Strider Wasilewski durante l’intervista a caldo: “Pipeline’s for the f**king girls”. Una frase che mi ricorda tanto quella cover di Surfer. Esatto, quella in cui c’era scritto Lisa Andersen Surfs Better Than You. C’è tanta personalità in questo surf femminile e perciò non lasciamoci ingannare dalla timidezza della stessa Simmers con i suoi “I don’t know…”. Il futuro è già arrivato. E se Riss e Steph vorranno ritornare, con queste tre in giro avranno un bel da fare.
6) La cavalcata di Bethany Hamilton alle Fiji nel 2016.
“Certe cose accadono solo nei film”. Come a dire che nella realtà essere attaccati da uno squalo e poi tornare a surfare tra i pro…insomma, dai, non scherziamo. E invece Bethany Hamilton fa esattamente tutto questo. Hollywood realizza persino un film su di lei, Soul Surfer, e ci si mette pure d’impegno scritturando attori come Helen Hunt e Dennis Quaid. Più di così non si arriverà, giusto? Eh no, Bethany non ci sta. Ottiene la wildcard per il Fiji Women’s Pro 2016 e inizia a fare qualche pensierino su un sequel: e se riuscissi a battere le mie colleghe? La domanda si completa con qualcosa di incredibile. Il round 1 non va benissimo: 8.40 e terzo posto nella heat vinta da Nikki Van Dijk. Il secondo posto, tra l’altro, lo ottiene Tyler Wright, che nel 2016 equivaleva ad accedere al round 2, lo stesso in cui sarebbe stata inserita Bethany. Le due si incontrano nella heat 3. Con le ultime due onde della heat Bethany Hamilton ottiene lo score complessivo di 16.10 (con un 9.00). Bye bye Tyler…Basterebbe questo ma no, lei vince anche il terzo round contro Gilmore e Defay, fermandosi solo in semifinale per via di un’incredibile heat della francese. Solo nei film, vero?
7) Vincere Pipe a 50 anni.
L’impresa di uno dei più grandi sportivi di sempre. Qui si parla di Storia con la “S” maiuscola senza esagerare. Materiale per un altro film di Hollywood. Pensate che Kelly vinceva Pipe per la prima volta nel 1992. Erano passati trent’anni. Un’infinità nello sport. Ma anche nella vita in generale. Ragazzi, erano gli anni Novanta. Molti di noi erano troppo piccoli per seguire quell’evento alle Hawaii, altri nemmeno erano nati. E poi l’ultima vittoria di The GOAT riportava l’anno 2016 (a Tahiti), non proprio l’altro ieri. Ricordo che Strider Wasilewski, ancora prima del contest a Teahupo’o, riteneva difficile che Slater potesse vincere una gara del CT. In fondo gli anni passavano e la new generation incombeva (vero Brazilian Storm?). Per farla corta pochissimi avevano previsto un trionfo del genere. Certo, Kelly is Pipe and Pipe is Kelly ma contro surfisti di vent’anni più giovani? Con Marshall passa tranquillamente, ma poi ecco tre heat tiratissime prima della spettacolare finale con Seth Moniz. Agli ottavi il 9.23 preso all’ultimo contro Mamiya e l’esultanza sulla spiaggia con tanto di pacca sulla spalla dell’infortunato Munoz (sorry Carlos). Ai quarti la vittoria contro Igarashi, fino all’ultimo super attivo per cercare l’onda giusta. E poi la semifinale con Miguel Pupo con tanto di interferenza (e proteste) da parte dal brasiliano. Momenti iconici che si sommano alla foto (esiste un termine più grande di iconico?) che ritrae l’abbraccio di Moniz a finale conclusa. Sì, The GOAT è stato capace di fare anche questo. Riportare indietro le lancette del tempo facendoci credere per una notte di essere “back to the 90s”. Il punto di svolta di tutto ciò? Forse la vittoria contro Kanoa. Ricordo l’intervistatrice della World Surf League dire a Slater: “Igarashi ti aveva sempre battuto finora”. Risposta di Kelly con un sorriso malizioso: “I know”. Come a dire: ho 50 anni ma continuo ad aver voglia di essere competitivo. E qualcosa mi dice che anche in questo 2024 un colpo potrebbe ancora batterlo. Anche dopo il mid-season cut ci sono sempre le wildcard e il calendario prevede Tahiti e Fiji.
8) Michel Bourez e quel “te l’avevo detto…”
Ancora Kelly, questa volta in un episodio sicuramente meno conosciuto. Siamo a Bali. Durante il Corona Bali Protected 2019 per l’esattezza. Bourez vs Slater. Notevole vantaggio del primo e priority nella heat. Qualche minuto alla fine. Ora, se hai la priorità e un buono score di solito hai mezzo piede nel round successivo. Anche qualcosa di più. Teoricamente (sì, la pratica è un’altra cosa…) ti basterebbe seguire il tuo avversario per tutta la lineup, non abboccando alle sue finte e prendendo al posto suo quell’onda che sembra davvero buona. Chiaro, no? Sì, certo. Peccato che delle volte le onde si possono considerare male, esattamente come in questo caso. Bourez fermo. Kelly si fionda per il take-off. Tubo per The GOAT. Il body language del polinesiano la dice tutta, e infatti 7.53 per Slater. Heat vinta. In attesa del punteggio, Martin Potter, commentatore della World Surf League, aveva esclamato: “Oh oh, Michel Bourez…”. E già, oh oh…
9) G-Land is back! Ma solo per un anno…
Ma quanti sono gli spot iconici nel surf? Pipe. Bells. J-Bay. Sì, ce ne sono tanti. Ah, vero, c’è anche quel posto che tutti chiamano G-Land. Un luogo favoloso. Estremamente esotico (beh, chiaro, siamo in Indonesia). E poi come dimenticarsi di quella tappa del Tour 2022? Immersi nella giungla a guardare onde epiche. No, scherzo, le condizioni non erano affatto straordinarie ma il contest bisogna comunque ricordarlo. Del resto, ci ha fatto ritornare per qualche giorno ai tempi del Dream Tour, o meglio a quel 1995 in cui si disputò la prima fantastica edizione vinta da Kelly Slater. Il 2022 è stato diverso. Jack Robinson ha in ogni caso dato spettacolo, vincendo semifinale e finale con l’ultima onda. Sommate questo alla particolarità dei trofei e al fatto di riunire i migliori surfisti del mondo nel bel mezzo della natura selvaggia, senza praticamente nessuno a fare da pubblico, e avrete l’idea dell’iconico G-Land. Ritornerà in un futuro come tappa del CT? Speriamo proprio di sì.
10) Un italiano tra i pro… Le imprese di Leo
Concludiamo questa lista con l’immancabile numero 46. Sul sito della World Surf League danno come sua prima stagione il Junior Tour 2011. La prima apparizione nel CT risale invece al 2013 per il Quiksilver Pro France. Da lì, anzi dal 2016, la carriera nel Championship Tour diventa cosa seria, con un quinto posto a Margaret River già durante quell’anno. A guardare il ranking 2024, con Fioravanti nella top 10, viene da dire quanta strada abbia fatto: da fronteggiare i più grandi di questo sport fino a vincere le Challenger Series e poi, certo, quella finale a Pipe. Storica, emozionante. Un manifesto della tenacia di Leo. Perché di questa il numero 46 ne ha da vendere. Altrimenti non si rientra nel CT nel modo che ha fatto. E allora forza, sognare non è proibito. Anche pensando a quelle Olimpiadi in cui indosserà i colori dell’Italia a Tahiti, dove rompe un’onda a Leonardo piuttosto cara. Non aggiungo altro.