Fino a pochi anni fa era difficilissimo vedere bandiera diversa da quella americana o australiana sventolare sui podi dei vincitori del surf. Eccezioni fatte per qualche exploit di Sudafrica, Regno Unito e Perù (con i trofei ormai pieni di polvere sopra, il più recente è stato Martin Potter nel 1989), nessun atleta di nazionalità differente era riuscito a scalfire il dominio delle super potenze anglosassoni. Sono passati ormai sette anni dal primo brasiliano campione del mondo. Era il 2014 ed un giovane Gabriel Medina conquistava il titolo imponendosi su John John Florence. A quel tempo la Brazilian Storm veniva percepita come un fenomeno di passaggio, una ventata d’aria fresca a scuotere la WSL. Oggi lo scenario è decisamente cambiato. Nel prossimo Championship Tour maschile la percentuale di atleti brasiliani raggiungerà lo strabiliante 33% del totale dei partecipanti.


Storia
All’inzio degli anni ’60 in Brasile il surf era un’attività praticata soltanto dalla classe sociale medio-alta. Non c’era un vero e proprio movimento e le competizioni agonistiche erano ancora un miraggio. Mentre nel resto del globo le gare impazzavano, in Brasile il surf arrivava ad essere riconosciuto come un vero e proprio sport soltanto alla metà degli anni ’70. Nel 1976 il Brasile fu scelto a sorpresa come uno dei sei paesi al mondo che avrebbe ospitato una tappa dell’IPS (la prima vera incarnazione di un World Tour). La gara fu vinta da un locale di nome Pepe Lopes e gli valse la conquista di una wildcard per il Pipeline Masters. Durante la competizione hawaiana, Pepe si prese il lusso di eliminare i futuri campioni del mondo Shaun Tomson e Peter Townend, arrivando addirittura in finale. Un fulmine a ciel sereno, il sentore che messo in prospettiva preannunciava l’arrivo della tempesta verdeoro.

Sviluppo
Con il passare degli anni il surf diventò sempre più popolare in Brasile anche grazie alla presenza di due atleti nel World Tour, Fabio Gouveia e Flavio Padaratz. Sempre durante gli ’80 nacquero due aziende, Mormaii ed Hang Loose, che con il supporto a giovani talenti emergenti e del circuito competitivo nazionale diedero linfa vitale a quello che stava diventando un vero e proprio movimento sportivo. A Mormaii ed Hang Loose va il merito di aver lanciato il surf professionistico in Brasile.
Alla fine degli anni ’90 nelle categorie giovanili del WSL iniziano a farsi prepotentemente avanti moltissimi talenti verdeoro, che posano le basi di quella che sarebbe poi diventata la Brazilian Storm. Nonostante diversi rappresentanti carioca stessero ottenendo risultati a vari livelli in campo mondiale, i magazine internazionali continuavano alle porte del nuovo millennio a snobbare i surfer brasiliani. La differenza netta tra Brasile e Australia o America, l’eldorado del surf globale, era che l’unico modo per emergere e costruirsi una carriera venendo fuori dal paese sudamericano passava per risultati sportivi e coppe. D’altra parte nelle nazioni in cui la cultura del surf era più sviluppata, anche i free surfer trovavano supporto da sponsor e media, riuscendo a farne un lavoro. Questa grande disparità di trattamento segnerà in maniera indissolubile la feroce motivazione dei brasiliani, ancora oggi strutturati mentalmente da quell’istinto che li spinge a prevalere contro tutto e tutti.
Durante quegli anni, fino ai tardi 2000, si evidenziò però un problema comune a tutti gli atleti brasiliani, le lacune sulle condizioni di mare grosso. A dispetto di una capacità unica nel valorizzare il surf col mare piccolo e confuso, trovavano grandi difficoltà nei tubi e per le manovre fondamentali del power surfing. Ricordiamo una heat in cui Filipe Toledo non remò neanche un’onda a Teahupo’o, colto da un’improvvisa paura con successivo sbeffeggiamento da parte dei principali surf media americani ed australiani.

Merito del talento ? No c’è una spiegazione più logica
Non sorprende che il Brasile stia producendo alcuni dei migliori surfisti del mondo, il paese ha 7.491 km di costa atlantica sempre esposta a swell e costellata da spiagge di sabbia bianca (come Saquarema) e metropoli vista mare come Rio de Janeiro e San Paolo. Le due città appena citate raggiungono insieme un totale di 23 milioni di abitanti. La vita da spiaggia è una parte importante della cultura brasiliana. Per area e popolazione, il Brasile è il quinto paese più grande del mondo, con una diversità biologica infinita. Tutti questi elementi per la legge dei grandi numeri fanno sì che il numero dei praticanti sia altissimo. Più praticanti, più cultura, più talenti.

Ad aggiungersi alle condizioni iniziali appena elencate c’è la mentalità brasiliana. Come nel calcio, l’unico modo che hanno di emergere dalla povertà attraverso lo sport è il professionismo. In Brasile l’unico modo per diventare dei professionisti è vincere, dimostrare di essere il migliore attraverso i risultati. Come anticipato in precedenza, i maggiori media di informazione fino a pochi anni fa non davano risalto al talento naturale dei brasiliani, nutrivano invece una sorta di gelosia. Negli ultimi sette anni, il Brasile ha portato a casa 5 titoli su 7 e un oro olimpico. Qualcuno si era fatto i proprio conti, ma nascondersi dietro ad una sorta di razzismo elitario non sembra abbia scalfito minimamente la Brazilian Storm. Tutt’altro.
Consacrazione
Gabriel Medina è diventato testimonial di una delle più grandi aziende di moda della storia, di una casa automobilistica (Audi) ed è sotto contratto per Adidas (primo surfista nella storia a legarsi al marchio tedesco). Italo Ferreira è entrato a far parte del team Red Bull, è sponsorizzato da Ford e Bridgestone, ed è attualmente l’atleta di punta di Billabong e Oakley. Filipe Toledo è l’unico atleta insieme a Carissa Moore che è riuscito a mantenere il proprio contratto con Hurley, nell’ultimo anno ha iniziato a pubblicare i primi video di freesurf e sta ispirando milioni di giovani surfer brasiliani.
Yago Dora, atleta Volcom, è stato il primo vero freesurfer della nuova generazione, ha iniziato da protagonista del team australiano fino a stabilirsi nel Wsl.
Ultimo di una lunga lista, Lucas Vicente, che abbiamo avuto la possibilità di vedere in azione a Supertubos durante il nostro viaggio di Ottobre, campione del mondo junior 2019 ed estremamente somigliante ad Italo Ferreira per stile e grinta. La Brazilian Storm è ancora nel pieno della sua forza d’urto.
