Un errore che purtroppo in molti commettiamo nel 2021 riguarda il fatto di attribuire un’accezione necessariamente negativa al termine “localismo”. Penso sia arrivato il momento di dare, o per lo meno di provare a farlo, una definizione di questa spaventosissima parola – forse un po’ meno estrema di quanto siamo soliti pensare. Per me il localismo non è nient’altro che la volontà da parte dei nativi di uno spot di far rispettare, attraverso l’utilizzo del buon senso, le regole che in mare servono a tutelare la sicurezza e l’incolumità di chi vuole godersi due onde in serenità. Che poi il diretto interessato (e ammonito) sia un locale stesso o un outsider, poco importa. L’importante è che il messaggio recepito sia ben chiaro: le regole in mare servono per garantire il divertimento ed il benessere di tutti. Affermazioni come “il mare è di tutti” sono fini a loro stesse quando si tratta di surfare in sicurezza: se il mare fosse veramente di tutti e ci comportassimo di conseguenza, come se ci sentissimo i padroni di quella piccola fetta di specchio d’acqua, probabilmente il surf non esisterebbe nemmeno in luoghi dove oggi è facile vedere una line-up trafficata.
La necessità di un ordine e di aver delle norme è intrinseca, fin dai tempi più antichi, alla natura dell’uomo. Non a caso siamo una delle poche specie, se non l’unica, che per ridurre l’imprevedibilità delle nostre azioni ha bisogno di istituzioni che ci diano regole di convivenza in qualsiasi contesto sociale ci troviamo. Lo Stato in sé è stato creato di conseguenza di tutelare determinati diritti ai cittadini, facendosi garante in cambio del rispetto di alcune norme. Proviamo ad indagare adesso come sarebbe la line-up del nostro homespot se non ci fossero delle regole e qualcuno a farle rispettare.
Il metodo scientifico non può venirci incontro: non essendoci alcuna evidenza empirica certa, bisognerà affidarsi alla filosofia, più specificatamente a concetti di filosofia politica. Ed il pensatore in questione che ci aiuterà sarà Thomas Hobbes, intellettuale inglese del XVI secolo.
Hobbes considera l’anarchia (l’assenza di regole e di un’autorità) come il ritorno dell’uomo allo stato di natura, un momento storico della società umana. In questa condizione gli umani non sono altro che animali violenti in cerca della felicità e della soddisfazione dei propri desideri e interessi personali. Inoltre, l’uguaglianza materiale e la scarsità di beni fanno sì che lo stato di natura sia un continuo campo di battaglia nel quale non esiste norma se non la legge della natura, che permette all’uomo di fare qualsiasi cosa pur di raggiungere la felicità. Proviamo ora a traslare questi concetti nel mondo del surf, a immaginare il mare come un campo di battaglia nel quale l’unico obbiettivo di ognuno di noi sia quello di appagare a qualsiasi costo la sete di onde. Molto probabilmente non si riuscirebbe a convivere in un ambiente del genere, soprattutto per via dei pericoli che innescherebbe.
L’intenzione di questo articolo è un appello a tutti coloro che sostengono che ‘il mare sia di tutti’: è vero, ma entro certi limiti. Il localismo, e i locali di uno spot, sono necessari al divertimento e alla tutela di tutti coloro che vogliono surfare. Il mondo del surf senza una figura come un local, che faccia rispettare le regole che tutti conosciamo, quasi sicuramente non esisterebbe nemmeno. Il concetto di ‘localismo’ dev’essere quindi rivalutato. Ovviamente qualora vi fosse l’abuso di questo ‘potere’ da parte dei nativi di uno spot, sarebbero loro i primi a passare dalla parte del torto. A volte capita, in certi luoghi succede anche spesso. Ne riparleremo.
Nomadi surfisti, abbiate rispetto per chi da anni prova a difendere la propria casa, non tanto dai fuorisede, ma da chi rovina il nostro amato surf non rispettando le poche e semplici norme esistenti. Qui sotto invece Fred Patacchia spiega il sistema gerarchico amministrato dal Wolf Pak a Pipeline.