Ho un piede in due staffe: da una parte l’amore per il surf, dall’altra la passione per la moda. Prima di concentrarmi a tempo pieno sulla fotografia, ho lavorato per 8 anni tra negozi e showroom e posso dire che i miei viaggi e l’attrezzatura sono stati finanziati dalla fashion industry. Grazie a queste esperienze ho appreso alcune nozioni sul mondo della moda. Lavorando a contatto col cliente analizzavo i trend d’acquisto, facendomi un’idea su quali prodotti avrebbero avuto un futuro e quali no. Il surf, intanto, entrava dalla porta principale della fashion industry. Ho continuato ad osservare.
E’ il 1997, Kelly Slater ha appena conquistato il suo quinto titolo di campione del mondo in carriera e ha appena concluso la sua esperienza Hollywoodiana con l’interpretazione in Baywatch al fianco di Pamela Anderson. Alla sua porta bussa Donatella Versace, da poco a capo della grande firma italiana per via della tragica scomparsa del fratello Gianni. Kelly sarà il volto della campagna Versace Sport. E’ il primo vero grande marchio della fashion industry che si lega ad un surfista, e che surfista. Gli italiani arrivano primi.
Va detto comunque per onor di cronaca che negli anni precedenti Ralph Lauren aveva già avvicinato il surf. Nel 1988 Nat Young diventò testimonial, una mossa però poco fortunata o comunque incompresa da entrambe le parti in causa. Nat Young finì per avere cucito addosso (è proprio il caso di dirlo) lo stereotipo del ragazzo del college, non il risultato sperato. Ralph Lauren esordì snaturando lo stile del surf. Un flop.
Presente
Arriviamo a tempi più recenti con Chanel: chi più della maison di Coco ha influenzato le passerelle mondane con il surf? Nessuno. Il brand parigino è sempre stato attratto dalle tavole e dalle onde, un marchio protagonista di diverse prime volte: ricorderete di Gisele Bündchen sul piccolo schermo che da vera poser cammina sulla spiaggia con una tavola con la quale sarebbe impossibile surfare e Danny Fuller, surfer hawaiano a cui lo spot qui sotto ha cambiato la vita per sempre. Surf in B&W, un classico intramontabile.
Con un giro di affari stimato in circa 7 miliardi di dollari l’anno, la surfing industry è considerata una nicchia appealing ma spesso poco redditizia (nel tecnico soprattutto). In confronto, per dare un parametro, il business dello skate genera circa 5 miliardi. Numeri che trainano l’interesse delle case di moda.
Il surf è uno stile di vita che dal boom di popolarità dei ’60 americani ha saputo influenzare ogni cosa intorno a sé. Che siano i centri delle grandi città, da Los Angeles a New York o le passerelle della moda di Milano e Parigi, troverete sempre un accenno al surf tra i palazzi delle metropoli.
Il nostro Leonardo Fioravanti è uno dei surfisti che di più sta approfittando dell’ondata di interesse che la fashion industry sta dimostrando nei confronti del surf.
Gucci si è avvicinato a Leo tramite instagram, come ci ha raccontato durante una delle prime puntate del podcast e da quel momento ha scelto il surfista di Cerveteri come vero e proprio ambassador.
Un altro surfer che sta traendo profitto dalla collaborazione con uno storico brand di moda è Kanoa Igarashi, fresco di un argento olimpico. La sua immagine è legata al colosso Dior, per cui l’atleta di punta del Giappone indossa principalmente abiti e scarpe. Anche Gabriel Medina, lontano dagli abiti eleganti e dalle passerelle, si è concesso per promuovere la fragranza Blue di Ralph Lauren, un prodotto presentato attraverso la lente di Corey Wilson tra le acque di Teahupo’o.
Futuro?
Quali sono le previsioni per il futuro? La pubblicità che ha visto protagonisti Gabriel Medina e Corey Wilson (uno dei fotografi di surf più forti di sempre) andrebbe presa come standard di qualità e modi di raccontare un marchio/prodotto attraverso il surf. Si sente spesso il pubblico lamentare un forte mal di pancia nei confronti degli atleti che decidono di vendere la propria immagine alle case di moda. Non mi trovo d’accordo ed ammettendo anche che il mio punto di vista sia di parte, trovo giusto che i grandi brand si avvicinino al surf e che lo facciano ingaggiando i maggiori interpreti della scena per provare ad immergersi totalmente nel nostro mondo.
Questa è la mia conclusione: sono contrario alle pubblicità stereotipate stile Mercedes oppure alle scatole vuote come la campagna di Vogue con Yves Saint Lauren dove la massima espressione di surf è stata una foto di una manovra inesistente e qualche scatto alle tavole. Ben vengano invece le aziende che si avvicinano al nostro mondo con curiosità, propensione all’ascolto e spirito d’iniziativa. Le sperimentazioni creative che i big player della moda hanno portato avanti nel corso della storia hanno innescato picchi di innovazione comunicativa mai visti altrove. Ci auguriamo che anche i veri surfisti possano giovare in futuro dei frutti della surf fashion industry.
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