“Quando abbiamo iniziato noi il surf era molto più bello”. Quante volte avrete sentito questa frase? Tantissime, vero? Da un certo punto di vista questa affermazione è certamente condivisibile. Pochi amici che praticavano, onde deserte e tanti spot ancora da scoprire. Molto più romanticismo, lo spirito del surf nella sua forma più pura. Prima era meglio. Ma è davvero così?
Avrei voluto nascere prima e vivere tutte le meravigliose e pittoresche storie che alcuni veterani del posto mi hanno sempre raccontato. Spesso però le medaglie hanno due facce. Se da una parte ci sono quelli che si sono prodigati per la crescita del surf e sono orgogliosi della strada intrapresa, tanti sono invece quelli che quasi odiano la notorietà raggiunta da quello che una volta era uno stile di vita ed oggi è diventato uno sport vero e proprio. Abbiamo affrontato questi argomenti parlando con alcuni dei maggiori esponenti del surf Italiano durante il Generazioni Tour. Da Alessandro Dini in Versilia, ai fratelli Fracas in Liguria fino a Giorgio Pietrangeli, pioniere romano, con cui abbiamo parlato nella tappa conclusiva del nostro viaggio alla scoperta delle scene locali più influenti nella storia del surf italiano.
Cosa c’era di meglio
Come anticipato, il poco affollamento ed il piacere della scoperta di nuovi spot sono emozioni che non hanno eguali. Ancora oggi, surfare con qualche amico un picco vergine è una delle sensazioni preferite dal surfista. Immaginatevi farlo in Italia tra gli anni ’80 e ’90 quanto poteva essere bello. Soffriamo anche la nostalgia delle riviste. Tutto era meno immediato, non c’erano i social e quei ricordi catturati dalle fotocamere analogiche avevano il tempo di maturare nelle menti dei surfisti. C’era meno competizione, le gare erano un motivo per incontrarsi, scambiarsi i contatti e rivedere vecchi amici. Lo spirito del surf era più forte, il clima più disteso e sereno.
Grandi nomi del surf internazionale che venivano in Italia per incontrare i propri fan e surfare con loro. Mi ricordo Andy Irons che mi spinge su una tavola al bagno Aloha di Viareggio e mi viene la pelle d’oca. E poi ancora Mark Occhilupo e Kelly Slater. Immaginatevi di essere a scuola, arriva un vostro amico che ha fatto buca quella mattina in classe e vi dice: “C’è Kelly Slater in Piazza del Fortino”. Lo cercate per ore, non lo trovate e poi lo vedete scendere dal camper di Passing Through Europe con la tavola pronto per entrare al Pontile.
Cosa c’è oggi di meglio
Evidenziato il lato romantico degli albori del surf italiano, scopriamo però che in realtà affermare che “prima era meglio” suona un po’ come il pianto dell’innamorato. Parlando con una vasta schiera di ragazzi, giovani o meno (per giovani intendiamo la generazione nata e cresciuta negli anni ’80) tutti ammettono di invidiare le nuove generazioni. Viaggiare costava un sacco, spesso si andava alla ceca e senza la certezza di beccare una buona mareggiata. I viaggi per Hossegor erano infiniti per esempio, una vera e propria avventura.
L’attrezzatura era spartana: all’inizio trovare una buona muta era complicato, il mercato era povero di prodotti con un costo medio elevatissimo. Spesso si utilizzavano mute da sub e si improvvisavano corde come laccetti. Anche le tavole erano un terno al lotto. Non era facile trovarne una che fosse delle misure corrette. Anzi, il livello di conoscenza del surf spesso non era abbastanza sviluppato per capire quali fossero le misure corrette.
Da questa serie di difficoltà ne derivava una difficoltà diffusa ad aumentare il proprio livello personale, cosa che è stata spesso motivo di frustrazione. Le manovre radicali viste sui magazine di surf spesso rimanevano irraggiungibili. Lavorare con il surf e vivere della propria passione in Italia era praticamente impossibile. Salvo qualche visionario che aveva deciso di aprire negozi specializzati, chi costruiva tavole o chi importava e distribuiva il materiale tecnico, non c’era un vero e proprio settore economico legato alla disciplina. Ricordo che da bambino per trovare una scuola di surf c’era da faticare molto, spesso ad insegnarci erano i bagnini durante l’estate. Prima era meglio, ma era anche più difficile.
Da un certo punto di vista tutti questi deficit hanno contribuito a creare una vera e propria cultura del surf, una voglia di imparare e di migliorarsi che non ha eguali in tutto il mondo. Il surfista italiano è da sempre determinato e questa continua ricerca è diventata una delle caratteristiche nel DNA delle nuove generazioni. Grazie a tutte quelle persone che ci hanno creduto, oggi il movimento surfistico italiano è in rapida espansione. Chi avrebbe mai pensato di vedere un atleta tricolore nel World Championship Tour ed in grado addirittura di partecipare alle Olimpiadi?
Dobbiamo essere grati ai pionieri del surf italiano, senza di loro oggi non saremmo qui a scrivere, non avremmo la passione per il mare e non potremmo goderci il sapore del sale sulla pelle. A tutti i nostri predecessori che ogni tanto si sentono colpiti dalla malinconia mi sento di dire questo: siate orgogliosi di chi continua a portare avanti tutto ciò per cui avete sofferto. Anche fossero un centinaio di persone che continuano a vivere il mare come avete fatto voi ai vostri tempi, non sminuite tutto quello di bello che c’è nel surf di oggi.
Le stesse passioni rimangono accese e vivono in molti di noi. Ormai i ragazzini di 10 anni cavalcano le onde indonesiane e quelli di 15 anni eseguono manovre una volta impensabili. I giovani shaper portano avanti la tradizione artigiana Italiana. Ci sono aziende che grazie al surf creano posti di lavoro e permettono a chi ama il surf di poter vivere di questo. Ci sono giovani che fanno lavori umili e si trasferiscono lontano da casa pur di poter surfare. C’è chi perde ore ed ore sotto al sole o che fatica in mezzo alla corrente per poter raccontare una storia e raccogliere ricordi da trasmettere alle prossime generazioni.
Cambiano i tempi, la tecnologia si evolve e ci fa evolvere ma la passione rimane inalterata. Prima era meglio, ma l’amore per il mare continuerà a crescere all’infinito. Siate orgogliosi di noi, noi vorremmo che le prossime generazioni avessero almeno la metà della stima che noi nutriamo per chi ha scritto le prime pagine di questa fantastica storia d’amore. Viva il surf italiano.