di Luca Filidei
A Bells Beach si svolge il surf contest più antico e longevo della storia di questa disciplina. Qui siamo in un luogo che è un tutt’uno con la storia del surf, quella con la “S” maiuscola cominciata nel gennaio 1962 grazie a Peter Troy e Vic Tantau, che scoprirono la “most famous rocks in surfing history” (A. Haro, The Inertia, 2018). O meglio, più che scoprirono, accompagnarono il primo step verso l’attuale status di Bells, denominato così per via di un signor Bell, che per alcuni si chiamava William e per altri invece era John Calvert.
Uno spot che è collegato alle tradizioni quindi, persino le più ancestrali, definite da tribù locali che grazie alla sua barriera corallina si sfamavano con abalone e gamberi. Nessuno a quel tempo avrebbe immaginato che Troy e Tantau avrebbero reso quel break uno dei più emblematici del surf, spesso sinonimo di nostalgia per i fasti del passato. Dal primo evento promosso dal Boardriders Club si è passati così al Rip Curl Pro, con l’intermezzo di varie sponsorizzazioni come la curiosa Australian Crawl. Se Iconic For A Reason era la promo dello scorso evento a G-Land, qui potrebbe infatti essere Iconic For Million Reasons, riprendendo una canzone di Lady Gaga ma soprattutto le infinite storie che si sono svolte per vincere il famoso trofeo disegnato da Joe Sweeney, progettista anche della prima strada verso la spiaggia.
Basta ricordare che tra le onde di questa celebre e fredda lineup, ripresa anche nel documentario The Endless Summer (B. Brown, 1966), c’è stato il leggendario “Big Saturday” e poi i record di vittorie di Fanning, Slater, Richards, senza dimenticare i 10 (dieci!) titoli di Gail Couper nella categoria femminile e l’appassionante rivalità tra Tom Curren e Mark Occhilupo. Nel mezzo tanta, anzi tantissima surf culture e innovazione, come la comparsa del twin fin (setup a due pinne) nel 1978 e del thruster (setup a tre pinne) utilizzato da Simon Anderson nel 1981.
Tutti in piedi per Big O: Owen Wright.
Si celebra una storia di sport e famiglia
Adesso tocca ad Owen Wright prendersi il centro della scena e scrivere un nuovo episodio della saga di Bells: alla conclusione del Rip Curl Pro 2023 lascerà per sempre il surf professionistico. Che storia quella di Big O. A rifletterci verrebbe da consigliare a qualche produttore cinematografico di finanziare un lungometraggio come il King Richard (R. M. Green, 2021) che ha condotto all’Oscar Will Smith. Sì, perché anche in questo caso si può affermare che tutto inizia e si conclude con la famiglia. Del resto, l’agognato Championship Tour, le sfide con Kelly Slater e gli altri australiani, le indimenticabili vittorie rappresentano la parte centrale di un percorso che sempre e comunque riporta a quella family, lì dove tutto è iniziato.
Culburra Beach. 2mila persone. Costa meridionale di quel territorio conosciuto come New South Wales. La partenza è questa: c’è un van, due genitori e un itinerario che conduce verso alcuni spot si svolgono gare di surf. A bordo ci sono quattro dei loro figli (il maggiore, Tim, ha abbandonato questo sport) e poi le immancabili tavole e tanta voglia di affermarsi nei vari contest.
Rob e Fiona sono lì per aiutarli, sostenerli, utilizzando metodi forse poco convenzionali ma sempre al loro fianco, instancabili nel raggiungere North Narrabeen in occasione del Billabong ASP World Junior Championship e dodici ore dopo Bells Beach per il Kustom Jetty Surf Pro Junior. L’evento femminile è destinato alle ragazze under 20, Tyler e Kirby sono iscritte e ne hanno rispettivamente 13 e 16.
A gennaio 2008 Owen è la promessa di una famiglia di promesse. 17 anni e un titolo australiano under 18 già conquistato. Il futuro è suo, compreso un contratto con Rip Curl e un focus di 14 pagine sulla rivista Surfing World. Mick Fanning e Joel Parkinson rappresentano l’Australia nel tour mondiale, ma il consueto “stand-by period” di 15 anni tra una generazione vincente e l’altra (Mark Occhilupo è del 1966), sembra ridursi grazie all’incredibile progressione di Owen Wright.
L’ascesa del primogenito Wright, l’unico della storia con due perfect heat nello stesso contest
E in effetti la qualificazione al Championship Tour, quasi senza sorpresa, arriva nel 2009. Da lì una stagione da Rookie of the Year conclusa al settimo posto del ranking e l’anno successivo la prima vittoria nel campionato a due passi dai grattacieli di Manhattan, al Quiksilver Pro New York, dove il maggiore dei fratelli Wright si impone su Kelly Slater. Il sogno di Owen (e ovviamente di Rob e Fiona) sembra essersi avverato. Il ragazzone alto e allampanato che ricorda i campioni australiani anni ’60 sfoggia una tecnica sempre più personale ed esplosiva. Il 2012 si delinea come un anno di crescita, quasi con l’obiettivo di trovare un proprio equilibrio (miglior risultato il terzo posto a Teahupo’o), ma poi ecco il primo (grave) infortunio proprio al Rip Curl Pro dell’anno successivo. Owen resta in acqua contro Dusty Payne, cerca di resistere, senza però riuscire a raggiungere un punteggio superiore a 2.67. Pare però che il suo ritorno non sia tanto lontano, forse previsto per Keramas o per le Fiji, al limite per Teahupo’o. E invece rieccolo solo nel 2014, l’ultima stagione sotto la sigla ASP e la prima trionfante di Gabriel Medina. I risultati sono alterni: due tredicesimi posti nelle prime due tappe nella sua Australia con le “fiammate” a Bells, Tahiti e J-Bay (due quinti posti e un terzo) a spezzare l’andamento medio dell’annata.
Ma facciamo un passo indietro. Nonostante l’infortunio di Owen nel 2013, la famiglia Wright sta conquistando sempre più popolarità nel mondo del surf professionistico. Big O è un surfista completo, Mikey – free surfer per eccellenza – sta tentando di raggiungerlo, mentre Tyler è ormai una (costante) contendente al titolo, alla pari di Carissa Moore e Steph Gilmore. Il 2015 appare come l’anno perfetto. In effetti potrebbe esserci un cambio di guardia. Ci sono Gabriel Medina e John Florence, certo, ma Owen Wright potrebbe inserirsi in quei top surfers in pieno conflitto generazionale, e magari uscirne vincitore. Perché no? Le possibilità ci sono. Tre solidi risultati nelle prime quattro tappe del Tour e poi la Storia (sì, ancora con la “S” maiuscola) di Cloudbreak, Fiji. Wright riesce infatti ad inanellare due perfect heat: 40 punti ottenuti tra il round 5 e la finale contro Julian Wilson. È il quinto surfista a compiere tale impresa, il primo – e finora l’unico – a farlo due volte in un singolo contest.
L’infortunio con trauma cerebrale e
le difficoltà nelle Challenger Series
Grazie al risultato la posizione nel ranking diventa la numero 3, classifica che detiene fino in Portogallo, quando il brasiliano Caio Ibelli lo estromette subito dalla gara. Si scende così al quinto posto con all’orizzonte Pipe, ultima tappa del Championship Tour. E lì, ancora prima di iniziare, tutto si conclude. Dell’infortunio subito da Owen Wright durante quell’allenamento si è scritto giustamente molto. C’è stato poi un altrettanto condivisibile riserbo da parte della famiglia. Per questa ragione direi quindi di compiere un passo temporale, superando persino il trionfale ritorno nel 2017 al Quiksilver Pro Gold Coast e l’ultima vittoria (finora, aspettando Bells) a Teahupo’o contro Medina nel 2019.
2022. Sono trascorsi sette anni dalle promesse del 2015, eppure per i Wright sembra un’epoca completamente diversa. Tyler ha vinto due titoli mondiali, vero. Big O ha vinto il bronzo alle Olimpiadi di Tokyo, vero anche questo. Quindi cosa c’è che non va? Tanto per cominciare Mikey (battuto da Leo Fioravanti in un creativo playoff di inizio stagione a Pipeline) non rientra più nel Championship Tour. E poi Owen, il predestinato della family, rischia di rimanere vittima del mid-season cut inserito proprio quell’anno dalla WSL. Le prospettive per Big O non sono rosee dopo quattro contest con un solo exploit positivo: il quinto posto proprio a Bells. Ad aspettarlo, se non facesse risultato, ci sarebbero le Challenger Series. Che per alcuni, i più giovani (guardate il caso di Molly Picklum ma anche del nostro Leo), delle volte equivalgono a una possibilità di rientrare subito nel campionato principale per rilanciarsi alla grande. Mentre per altri, i veterani appunto, le Challenger Series equivalgono alla non entusiasmante prospettiva di sfaticare nel mezzo di selvagge heat con quattro surfisti e condizioni non sempre ottimali, che può anche tradursi in una probabile e anticipata conclusione della carriera.
Esattamente ciò che sta rischiano Big O. Prima di lui, nella heat 5 al Margaret River Pro, McGillivray, diretto contendente nel superamento del mid-season cut, supera Igarashi proiettandosi negli ottavi di finale. Ma ora tocca a Wright. Una heat contro Miguel Pupo. Contro le condizioni dell’oceano. Contro persino sé stesso e le sue paure. L’infortunio del 2015 non è qualcosa di cui è possibile dimenticarsi. La vittoria al suo ritorno, nel 2017, è stata storica ed emozionante, così come, secondo alcuni, un pericoloso rilancio verso un’attività a dir poco azzardata. Big O non è più quello di sette anni fa: le tanto amate onde tubolari e pesanti rappresentano ora un consistente rischio, come un pugile che ama il palcoscenico dei main event ma che no, un altro colpo non può proprio prenderlo. Quindi ecco il 7.50 di Pupo, seguito poi da un 3.50, un 3.48 e un tondo 4.00. Owen risponde. Ottiene un buon 5.00. Tenta un’ultima onda. Il risultato però non lo premia. E lì, nella sua Australia, apprende che non riuscirà a superare il mid-season cut. A ripensarci sembra quasi surreale. Big O è il Championship Tour. Così come Sally Fitzigibbons, altra esclusa lo scorso anno poi riammessa al tour 2023 grazie ad una wildcard.
Un affare di famiglia, un cerchio che si chiude. Aspettando la prossima generazione dei Wright
L’aspetto razionale – e sì, anche una parte di quello emotivo – però ci suggerisce qualcos’altro. E in questo caso Owen Wright risulta l’assoluto vincitore. Quello che colpisce è che a soli 33 anni sembra aver vissuto un concentrato di vita. Le nottate trascorse a dormire nel bagagliaio di una Toyota Tarago in attesa di qualche evento. Le tavolate condivise con la famiglia mentre si scambiano aneddoti sul surf. L’ascesa nello sport professionistico e con sé le immancabili e giustificate ambizioni. Il sostegno reciproco. Le vittorie e le sconfitte. I momenti da ricordare e poi, come dimenticarsi? I più oscuri e spaventosi pensieri dopo l’incidente del 2015.
Ma ora Owen ha detto basta. Questo Rip Curl Pro sarà la fine del percorso. Il singolare e unico “ultimo ballo” di un campione. Il Championship Tour ha rappresentato per lunghi anni il sogno. Poteva andare meglio o peggio e in fondo di suonare quella campana (solo il vincitore del contest a Bells ha l’onore di suonare la campana del trofeo) se lo meritava. Sarebbe stato la giusta ricompensa anche per suo padre Rob, che ora per problemi di salute non può più seguirlo.
Tuttavia si sa, la vita segue le proprie regole. Quindi godiamoci per l’ultima volta il numero 3 mentre scende la scalinata del memorabile anfiteatro che è Bells. Owen concluderà lì la sua carriera, certo, ma come ho scritto è la famiglia la vera essenza di tutta la storia. E quella continuerà con Tyler e in futuro, chissà, magari con qualche altro Wright della nuova generazione. Dopotutto Big O chiude soprattutto per quello: per garantire la sua presenza a chiunque della family vorrà intraprendere quel viaggio tanto sostenuto da Fiona e Rob anni prima. E forse, in quel momento, quasi fosse un loop, i Wright torneranno a viaggiare tutti insieme. Per il futuro. Ma anche per rammentare quello splendido passato dove tutto è cominciato. Questo, in fondo, è solo un arrivederci.