Vi ricordate quando ancora non esistevano gli smartphone ed il pomeriggio si usciva con gli amici per strada? C’era chi andava al campetto, chi allo skatepark e chi andava a surfare. Quando però il mare era piatto, c’era un luogo di ritrovo non molto distante dal mare dove si andava a passare un po’ di tempo: il local surf shop. Qualche giorno fa parlando con Iacopo Conti, titolare di uno dei negozi più conosciuti in Italia, abbiamo discusso proprio di questo. Iacopo ha anche una lunga carriera da atleta alle spalle, impreziosita anche dal titolo di Campione Italiano 2008. Sentite cosa ci ha detto: “Ai miei tempi andavamo sempre a trascorrere qualche ora al negozio di surf, all’epoca c’era lo storico Time Out. I ragazzi si divertivano a girottolare tra mute e tavole, qualcuno dava una mano, quelli più grandi lavoravano alla scuola di surf del negozio ed i più capaci venivano poi supportati per partecipare alle gare del campionato italiano”. Dello stesso pensiero Alessandro Dini, che in Italia ha aperto il primo surf shop della storia oltre ad esser stato per anni dirigente di Quiksilver: “Adesso tra social network ed internet è venuta a mancare quell’aggregazione che ha contrassegnato l’esperienza di generazioni di surfisti”. Perché però i local surf shop erano così importanti?
L’esperienza dei titolari
Come anticipato nel paragrafo precedente, i giovani surfisti che frequentavano i negozi spesso finivano per lavorarci dentro. Davano una mano al titolare, sistemavano le cose quando arrivavano le nuove collezioni e si interessavano dei prodotti all’interno dello shop. Indirettamente quel sentir parlare di surf in continuazione arricchiva la loro esperienza. Si imparavano a mettere i grip nel modo giusto, le differenze tra le varie tipologie di tavola, l’importanza di scegliere la pinna giusta, addirittura si imparava a fare qualche riparazione d’emergenza.
Tutte competenze che poi in un futuro prossimo saresti già stato pronto a sfoggiare. In più quando faceva le onde i titolari ti portavano in acqua con loro e come abbiamo visto, mediamente chi apre un surf shop in Italia è una persona estremamente connessa e riconosciuta nel territorio in cui innesta la propria attività. Un bonus non trascurabile, perché entrare in lineup con la leggenda del post aiuta, eccome, a farti accettare (e poi rispettare) nello spot. Intorno al local surf shop in generale si creava un gruppo che poi cresceva, usciva insieme e frequentava le gare proprio come farebbe una vera squadra sportiva.
Cultura e passione tramandate in quelle 4 mura
Insieme al lato puramente tecnico del surf, intorno ai local surf shop crescevano anche cultura e passione. Solitamente ci si ritrovava in negozio per sfogliare le nuove riviste oppure per sentire le gloriose cronache dei surfisti più esperti appena tornati da un viaggio. Prima delle scuole di surf, le regole di buona convivenza in acqua venivano impartite e trasmesse all’interno di queste mura. L’accesso al picco, come detto, lo si guadagnava facendo parte del team del surf shop che ti dava una mano a crescere. La passione veniva scaldata qui perché il surf al contrario di calcio, basket o tennis non si poteva programmare e di certo era impossibile da praticare tutti i giorni. Quando non c’erano le onde l’unico modo che avevi per respirare il surf era passare del tempo nel tuo negozio di fiducia.
Diffusione del verbo: i local surf shop insegnavano prima delle scuole
Adesso con Internet puoi comprare una tavola da surf oppure una muta direttamente dal divano di casa, probabilmente scrollando il sito di un grande brand internazionale che ti fa pure il 10% di sconto se ti registri alla mailing list. Una volta questo meccanismo non esisteva. Si andava al local surf shop, si comprava un prodotto e così facendo oltre che godere di uno “sconto amico”, si aveva prima di tutto il consiglio giusto perché nessuno conosce il Mar Mediterraneo come un surfista locale. Oltretutto investendo nel negozio si dava la possibilità al titolare di organizzare eventi, gare e di sponsorizzare i ragazzini del posto aiutandoli a crescere. Altri tempi, altre dinamiche. Era tutto più umano ma sicuramente meno comodo ed alla portata di tutti.
Vi ricordate quando a Lido di Camaiore venne Andy Irons? Me lo ricordo come se fosse ieri che mi spingeva su una tavola davanti alla scuola di surf del bagno Aloha in un evento supportato da Billabong. Oppure quando Kelly entrò in mare al pontile di Forte Dei Marmi? O quando Mark Occhilupo fece un tour partendo da Roma e risalendo fino in Versilia? Tutte queste iniziative erano organizzate grazie al buon lavoro dei local surf shop che promuovevano i grandi brand tramite eventi che avevano la capacità di unire tutta la comunità surfistica. Un’importante responsabilità che umilmente stiamo provando a raccogliere in questi tempi così diversi e digitalizzati.
Le gare supportate dai local surf shop
Dulcis in fundo, l’organizzazione di ogni tipo di gara. Dai campionati nazionali fino alle gare locali, i surf shop erano la colonna vertebrale del movimento. Grazie al supporto offerto da queste piccole realtà il surf nostrano è potuto crescere ed espandersi infondendo in tanti giovani praticanti quella passione che ci ha portato a guidare per ore e ore alla ricerca delle onde perfette. Le gare erano uno dei maggiori punti di ritrovo per surfisti giunti da ogni parte d’Italia.
Con l’avvento di Internet si sono perse queste piccole grandi cose. I ragazzini si parlano dietro allo schermo di un telefono e si documentano guardando i video su Instagram. Manca tremendamente il contatto umano con le vecchie generazioni, che a volte però rifiutano a priori l’evoluzione dei tempi e si isolano, rendendosi poco disponibili. Mancano senz’altro gli eventi promozionali sparsi sul territorio, ma queste sono attività che costano e rendono poco: nessuno vuole investirci. Tante problematiche, alcune apparentemente senza soluzione. Manca un po’ di anima al surf moderno.