Nel mio primo articolo per Tuttologic Surf raccontavo di quanto l’aria che si respira a Ericeira trasmetta una forte relazione tra il surf e la vita. Non solo per l’influenza che questo sport esercita ovunque in una simile realtà locale, ma anche per come ti insegna a cambiare prospettiva. Per me è stato esattamente così quando ho iniziato ad avvicinarmi al surf in cerca della mia prima onda.
Il surf è entrato nella mia vita in un momento in cui tutto è cambiato abbastanza velocemente. Sono cresciuta passando le mie estati in Sardegna, perciò il mio rapporto con il mare è sempre stato molto intenso. Lo stesso vale per lo sport, una costante di vita. Da ragazzina ho praticato per un po’ windsurf, ma la mia concezione era chiaramente diversa allora.
Nei mesi estivi precedenti alla laurea è scattato qualcosa dentro di me. Consapevole del fatto che mi stessi avvicinando a un nuovo inizio, tra i dubbi e le domande aveva cominciato a farsi spazio una gran voglia di fare, di viaggiare, di sperimentare, di scoprire il mondo e di riscoprire me stessa. Non tanto per il titolo che avrei conseguito, ma più per ciò che avrei fatto dopo. Sapevo che era il momento di andare per la mia strada e provare a realizzare i miei sogni. In quel periodo, poi, le nuove conoscenze, i racconti di viaggiatori e le nuove esperienze mi avevano portata ad abbracciare un nuovo modo di vedere il mondo.
Decisi di fare un viaggio e optai per il Portogallo. Non so dare una motivazione razionale sul perché proprio il Portogallo: nella mia testa io volevo solo partire. Avevo letto una descrizione in un libro che ne parlava come un posto meraviglioso, con coste infinite e paesaggi che ricordano un po’ l’Australia, uno dei miei primissimi viaggi che ricordo nonostante fossi piccolissima. In più avevo trovato in un blog una catena di alloggi che dava la possibilità di spostarsi nelle loro diverse strutture senza nessuna variazione di prezzo. Una di queste, guarda caso, si trovava proprio a Ericeira, la capitale europea del surf.
Lo ammetto, sono andata abbastanza alla cieca. Non conoscevo il Portogallo, tantomeno Ericeira, sulla quale avevo cercato qualcosa ma trovato poco, e nemmeno sapevo granché sul surf, per quanto l’idea mi attirasse. Avevo semplicemente deciso di seguire la mia parte più istintiva e di partire. Così prenotai in una surfhouse, affascinata dalle vibes che mi dava l’idea di trasmettere, e andai.
Parentesi: non conoscevo nemmeno le surfhouse. Un mio amico, mentre gli raccontavo della mia idea e gli nominavo la catena di alloggi che avevo trovato, mi ha detto «Ma sarà una surfhouse, no?». Non lo era, ma quel termine mi attraeva troppo e quindi cambio di programmi, vado in una surfhouse. Un’altra mia amica, quando gliel’ho detto, ha commentato «E allora vabbè, ma se vai lì sei praticamente obbligata a surfare!». Detto fatto.
Di Ericeira mi innamorai letteralmente. La mia prima volta sulla tavola è stata una conseguenza naturale di quel viaggio. Lì il surf è davvero ovunque: in ogni spiaggia, in ogni angolo di strada e nella stragrande maggioranza delle persone. E poi la pace che si respira, lo stile di vita semplice, tranquillo, lento, che si nutre della meraviglia della natura e delle piccole e semplici cose.
Tempo pochi giorni e avevo addosso una muta e in mano una tavola da surf, pronta a cercare di prendere la mia prima onda. Se ripenso all’espressione che avevo sul momento mi viene ancora da ridere, del tipo «Ma lo sto facendo davvero?». Ero carichissima e allo stesso tempo non sapevo assolutamente cosa stessi facendo. So che a Ericeira si surfa tutto l’anno, ma io non ero nemmeno abituata a vedere il mare d’inverno, figuriamoci l’oceano, e l’idea di entrare in acqua, a dicembre, con quindici gradi: cioè davvero?
Ma il bello dell’improvvisazione è proprio questo, e in quel viaggio ne avevo messa decisamente parecchia: agisci e basta, senza pensare troppo alle conseguenze. Magari non va sempre tutto come sperato, ma questo “è parte del gioco”. In quel momento qualcosa mi diceva vai, lanciati in quest’avventura completamente fuori da ciò che conosci già e dalla tua comfort zone. E quanto è bello quando assecondiamo questa spinta? Quanto ci fa sentire vivi?
La sensazione entrando in acqua la prima volta è stata una delle più forti che abbia mai provato. La bellezza e l’eccitazione di qualcosa di completamente nuovo, l’adrenalina, il gelo dell’acqua che con la muta senti appena, la forza delle onde e delle correnti, il contatto con la natura così intenso.
Lo stavo facendo davvero. Stavo surfando. Nell’oceano. A dicembre. Cavalcavo la mia prima onda. Ed era incredibilmente meraviglioso.
So di averlo già citato, ma è inevitabile se parlo della mia prima lezione di surf: il maestro che mi dice ridendo «It’s part of the game!» mentre mi scontro con le onde cercando di remare a largo è stato troppo iconico. Più che altro perché quella frase ce la siamo ripetuta per tutto il resto del viaggio quando qualcosa non andava come previsto. Ci guardavamo, spalle alzate, «It’s part of the game!» e ridevamo.
È un po’ questo ciò che intendo quando parlo del cambiare prospettiva. Accettare che la forza indomabile dell’oceano non si può controllare. Che dalla tavola si cade, ma che possiamo imparare come posizionarci nel giusto modo. Che la prima onda non è sempre quella prendiamo perfettamente, ma che possiamo imparare. Possiamo cavalcare l’onda e goderci a pieno quella fantastica sensazione che ti avvolge quando ci riesci.
Da un punto di vista tecnico, sulla tavola ho ancora praticamente tutto da imparare, sono davvero solo agli inizi. È uno sport che ti porta a una sorta di sfida sana con te stesso e ti motiva a superarti, sempre nel totale rispetto del contesto in cui ti trovi, verso gli altri e verso la natura. Il corpo è naturalmente interamente coinvolto, ma lo è anche la mente. Per me è stato così: la scoperta di un nuovo sport, che mi appassiona, mi diverte e che ho estremamente voglia di imparare, ma anche di un nuovo modo di vedere le cose, di sentire e di provare emozioni.