Proprio il giorno in cui Kepa Acero doveva raggiungerci a Senigallia per gli XMasters, l’Italia settentrionale veniva stretta nella morsa di una delle tempeste tropicali che hanno caratterizzato quest’estate. Partito da Bilbao di buonora con un volo Lufthansa, compagnia serissima, il nostro eroe fa scalo a Monaco di Baviera. Next stop: Aeroporto di Ancona Raffaello Sanzio. È quasi l’ora di pranzo, sono al computer. Videochiamata di Kepa: “Leo hanno cancellato il volo per maltempo”. Guardo fuori dalla finestra: cielo azzurro. Mi passo una mano sulla fronte: grondo di sudore nonostante il ventilatore puntato addosso. Maltempo? Mal sul serio? Forse questi signori sanno qualcosa che a noi sfugge. Avevano ragione: le previsioni a breve termine erano corrette, nella notte anche a Senigallia si scatena una tromba d’aria. Comunque dobbiamo intervenire. Tommaso che al liceo aveva fatto uno scambio culturale con un ragazzo di Monaco di Baviera si ricorda di un treno Monaco-Bologna. Controllo: il treno c’è. E gli orari calzano a pennello, ma sono 6 ore abbondanti di treno. Chiedo a Kepa: te la senti? “Ma certo Leo, sembra divertente. Almeno posso guardarmi intorno e scoprire nuovi paesaggi: farei di tutto piuttosto che stare fermo qui in aeroporto”. Signore e signori, Kepa Acero. Esploratore, surfista, pensatore e uomo d’altri tempi.
Il treno farà 3 ore di ritardo. Ero ad aspettarlo a Bologna Centrale per andare di corsa a Rimini da Surf Corner dove avevamo organizzato un piccolo evento. Ho accolto Kepa con due pizze appena sfornate e questo è bastato per tenerlo vigile e farmi raccontare storie incredibili durante quel viaggio in macchina che avrei voluto fosse durato di più. In due giorni con Kepa Acero ho imparato tantissimo sul viaggiare e naturalmente anche sul surf. Kepa è una persona completamente fuori dagli schemi della società contemporanea, da cui non si astrae (segno di intelligenza) ma che interpreta a modo suo.
L’intervista che segue è una trascrizione del podcast registrato lo scorso Luglio agli XMasters di Senigallia grazie al supporto di Seay.
Per una serie di sfortunate coincidenze, si può dire che per te sia stato più facile raggiungere l’Angola che l’Italia…
Si devo dire che è stata un’esperienza differente.
Differente dici? Un’avventura in pieno stile Kepa, totalmente imprevista.
Sì ho volato su Monaco di Baviera da Bilbao, poi il volo da Bilbao ad Ancona è stato cancellato per maltempo. Quindi ho preso un treno da Monaco a Bologna che è arrivato a destinazione con ore di ritardo per un incidente mortale sui binario di non so quale stazione. Poi ieri c’è stata una mini onda anomala qui nell’Adriatico, causata sembrerebbe da un raro fenomeno atmosferico. Niente di grave ma l’onda è arrivata fino al palco dove siamo adesso bruciando i cavi del podcast. Ma dai adesso siamo qui, ce l’abbiamo fatta (ride, ndr).
Ovviamente quando pensiamo a Kepa ci vengono in mente le tue esplorazioni, dei viaggi ai confini della civiltà. Vorrei capire qual è il processo che ti porta a scegliere una destinazione: studi le mappe satellitari? Ti documenti sulla cultura?
Sono ormai 12 anni che viaggio in cerca di onde e non nego di aver fatto molti errori che si sono rivelati fondamentali per imparare e capire. L’ispirazione per intraprendere questo percorso me la diede anni fa un video di Corey Lopez in Namibia in cerca di un’onda individuata su Google Earth: quella fu la chiave. Prima c’erano le mappe geografiche colorate con le varie nazioni, con Google Earth potevi volare come un’aquila lungo qualsiasi costa del pianeta. La prima cosa che faccio quindi è individuare una località. Il secondo passaggio prevede un attento studio della direzione delle mareggiate e dei venti prevalenti. Poi, siccome esistono diverse app ormai che lo permettono, mi metto a guardare la profondità dei fondali circostanti. Per non dimenticare il fetch, che è la distanza che intercorre tra il punto in cui nasce un’onda a largo e quello in cui muore sotto costa. Con questo metodo restringi il campo delle possibilità ma comunque il rischio di sbagliare è sempre molto alto.
Hai detto che surfiamo un’onda che muore, è una metafora che non avevo mai sentito…
Sto lavorando ad un progetto che spiegherà scientificamente la vita di un’onda: dove e perché nasce, come cresce, quando muore. Quando surfiamo gli ultimi 10 secondi di vita di un’onda sentiamo una connessione potentissima con l’oceano.
Torniamo al video di Corey Lopez in Namibia: di quanti anni fa si parla?
Era il 2008. Quel video ebbe un effetto dirompente su tutta la mia generazione, capimmo che l’Africa era ancora piena di onde da scoprire. A quell’epoca invece tutti più o meno credevano che non ci fossero più grandi scoperte da fare nel surf. Erano anche gli anni in cui iniziavamo a raccontare le nostre esplorazioni sui social.
Com’è muoversi da soli in luoghi completamente disconnessi dal mondo? A volte non puoi nemmeno fare una chiamata per chiedere aiuto, perché non c’è segnale.
È un’esperienza davvero interessante. Viaggiando da solo ho scoperto molti aspetti del mio carattere. Quando sei lì lì per partire fa paura, sei spaventato. Man mano che ti avvicini alla meta però ti accorgi che hai bisogno di entrare in contatto con le persone del luogo, anche solo per ottenere informazioni necessarie. Inoltre non bisogna sottovalutare il calore che può darti il contatto umano: quando sei solo per settimane, hai bisogno di sentire affetto. Ho anche imparato a mettere da parte la timidezza che a volte mi bloccava, non preoccupandomi più dei giudizi altrui.
Qual è il paese dove hai conosciuto le persone più belle?
Ho tratto grande ispirazione dalla gente dell’Africa, e lo dico per un motivo preciso: nella cultura occidentale siamo abituati a pensare al futuro, a programmare molto in avanti, in Africa invece si preoccupano di quello che succede adesso, si concentrano quasi esclusivamente sul momento presente. Io credo che così loro riescano a godersi di più la vita.
Tornato nei paesi baschi hai provato a vivere con quella filosofia?
Sì, c’ho provato. Ho provato aiutandomi con la scrittura perché noi umani dimentichiamo troppo in fretta. Riportavo su carta tutto quello che avevo imparato, per non farmi travolgere dalla solita routine. Ho preso l’abitudine di scrivere anche mentre sono in viaggio, appuntandomi non solo ciò che vedo e che attira la mia attenzione, ma anche l’effetto che mi fa.
Dalla tua incredibile esperienza di viaggiatore che insegnamenti hai tratto? Hai qualche consiglio da condividere con i nostri lettori?
Devi fare mille domande. Informati perché sei fuori dalla tua comfort zone e questo deve farti riflettere su cosa puoi e cosa non puoi fare. Esempio: io a casa mia sono abituato a stare in spiaggia nudo, è pieno di spiagge di nudisti nei Paesi Baschi. In Angola per dire questo non è possibile, sarebbe oltremodo offensivo. Puoi finire in guai seri se non ti adatti e pensi che sia normale comportarsi come faresti a casa.
Immagino che quando prenoti un aereo decidi di farlo all’ultimo basandoti sulle previsioni, no? Come fai a risparmiare partendo last minute?
Viaggio molto leggero, non porto con me cose di cui non ho strettamente bisogno per sopravvivere, lascio sempre spazio all’improvvisazione. So che è il contrario di quanto ti aspetteresti, ma è la verità. Spesso mi limito a partire con uno zaino e risolvo i problemi che mi si presentano grazie alle persone che incontro sulla via. Per andare in Gabon una volta cercavo una macchina e mi sono documentato su Facebook, che ai tempi era il social più utilizzato. Un signore mi ha risposto dicendomi che siccome lì era molto difficile trovare macchine a noleggio, mi avrebbe lasciato la sua macchina in aeroporto con le chiavi nascoste. È incredibile perché non ho mai incontrato quell’uomo. Ero con Dane Gudauskas e per ringraziarlo alla fine del trip abbiamo lasciato nella macchina di quel gentile signore un paio di tavole come regalo.
Kepa a questo punto per favore dammi la top 3 dei tuoi trip.
La Namibia è stata speciale, il mio primo viaggio in solitaria. Quando campeggi nel deserto nulla si muove, hai tempo per pensare e riflettere. È stato un trip molto importante. Poi c’è un altro trip in Africa di cui nessuno sa nulla: ho trovato un’onda incredibile, ero solo. Forse la più bell’esperienza della mia vita. Non ho filmato nulla, nessuno ha mai saputo. Ora tu sai di questo viaggio ma non in che paese fossi.
Non chiederò altro Kepa, promesso.
No, per favore (ride, ndr).
Come spiegheresti a chi ci legge perché è importante mantenere certi segreti?
La parola chiave è rispetto. Non è questione di gelosia, non voglio per forza tenere quell’onda solo per me, ma con internet le informazioni possono circolare molto velocemente. Non è stato facile arrivare in quel posto: hai speso tempo, energie, risorse. Vorrei che quel posto rimanesse come l’ho trovato io, no? Così il prossimo che troverà quell’onda potrà vivere la mia stessa esperienza. Inoltre credo sia importante tenere il segreto perché divulgare certe informazioni potrebbe cambiare per sempre la vita delle persone che vivono nei dintorni, comunità che magari non vogliono essere contaminate. Un’onda world-class può creare un giro di soldi importante, bisogna tenere anche questo in considerazione.
Adesso vorrei che mi raccontasti la situazione più complicate che hai vissuto durante una delle tue esplorazioni.
In Alaska me la sono vista brutta. Ero in barca con dei pescatori che avevo conosciuto su un’isola lì vicino, dove si stima che ci siano tre orsi per ogni persona: questo è il rapporto. È super selvaggio. Abbiamo navigato fino ad un arcipelago che avevo individuato su Google Maps, un’area dove non c’era traccia di persone. Facciamo rada in una baia per la notte e siccome lì l’escursione di marea è gigantesca, ci svegliamo la mattina e la barca è arenata nella sabbia. Letteralmente il mare non c’era più. Così io e Nico, un mio amico cileno, decidiamo di camminare per raggiungere terra ed esplorare la zona ma dopo pochi passi ci accorgiamo che ci stavamo muovendo su un terreno di sabbie mobili, come nei film. Continuavamo ad affondare, passo dopo passo. Io sono leggero mentre Nico, no. Quando stavamo per arrivare Nico era quasi scomparso sotto il livello del terreno, per un attimo ho pensato che non ce l’avrebbe fatta.
Quanto è durata quella camminata?
Ti direi un’ora, almeno un’ora. Era difficilissimo avanzare. Se ti fermavi un secondo sentivi chiaramente che il tuo corpo veniva risucchiato. Alla fine ce l’abbiamo fatta ma è stato veramente stressante. Quando la marea ha riportato l’acqua siamo tornati alla barca remando sulle tavole che c’eravamo portati con noi.
Parlando di conflitti e guerre invece, ti sei mai trovato nei guai?
No perché per scelta non vado dove sono in corso guerre, credo sia irrispettoso: non mi sentirei in pace ad andare a cercare le onde in un paese dove le persone intorno a me combattono e muoiono. Parto per divertirmi, voglio andare in luoghi dove posso divertirmi. In Mauritania ho rischiato, era borderline. In Angola hanno avuto la guerra più duratura d’Africa, anche in Liberia uscivano da un periodo di conflitto. Può capitare ma preferisco evitare. Nonostante le guerre ed il modo in cui vengono raccontate dai media europei, ho sempre riscontrato grande umanità e fierezza in Africa.
Non stento a crederlo…
La sensazione più incredibile è quando arrivato in un villaggio dove non hanno nemmeno coscienza dell’esistenza del surf, remi verso largo, prendi un’onda e si innesca la magia. Ti scambiano per un uomo che può camminare sulle acque.
Pazzesco…chissà quante volte come un profeta hai portato il surf dove non potevano nemmeno immaginarlo, dev’essere emozionante.
Credo questa sia la vera essenza del surf, vedere un bambino provare per la prima volta e trovare una connessione profonda con l’oceano.
Però Kepa non chiudo il discorso se non racconti anche al nostro pubblico delle tue disavventure sanitarie. Ieri scherzavamo sul fatto che hai contratto tutte le malattie peggiori: epatite, malaria…
Durante questi viaggi vai a divertirti ma sai anche di andare incontro a certi problemi, sei pronto ad accettarlo. Sicuramente sono una persona fortunata, molti ci tengono a ricordarmelo: “ah che vita che fai, vorrei essere come te”. Sì, a parole sono tutti bravi, poi devi avere la forza di volontà per metterti in certe situazioni di rischio. Sono scelte.
Kepa sei senz’altro una persona con i piedi saldamente ancorati all vita reale ma esiste anche una seconda vita, quella dei social, che tu forse sei costretto a vivere per raccontare delle tue avventure e continuare a fare ciò che ami. Che rapporto hai coi social?
In realtà io faccio parte di una generazione di pionieri dei social. Ai tempi di quel primo viaggio sulle tracce di Corey Lopez avevo intuito le potenzialità di YouTube e Facebook, il problema era che viaggiavo da solo. La GoPro cambiò tutto. La acquistai dagli Stati Uniti e ci mise 3 mesi ad arrivare. Quando ancora la parola “selfie” non esisteva, io, Aritz e altri surf explorer filmavamo noi stessi in queste avventure. I telefoni non avevano nemmeno la fotocamera incorporata. A quei tempi quella dei social era una vita più sostenibile perché non c’era tutta questa competizione e di conseguenza non dovevi per forza stare tutto il giorno connesso a pubblicare.
Ultimo argomento: le tavole. Lavori con Pukas che sta puntando molto su tavole alternative e stilose, perfettamente adatte al tuo stile attuale. Quando hai deciso di passare dalle tavole performanti a tavole come dei mid lenght? Pensi che abbiano beneficiato al tuo surf?
Fino al 2006 surfavo per competere. Quando ho smesso, perché non mi sentivo più a mio agio, continuavo a ragionare come prima: finivo un’onda pensando questo è un 5, questo è un 7. Ho avuto una crisi di identità. Per uscirne ho iniziato a surfare tavole che ti aiutano a disegnare linee differenti, più rispettose del ritmo di un’onda. È come la musica: se suoni la chitarra non devi per forza andare veloce, sei bravo se vai a tempo. Ho iniziato a divertirmi in mare cercando di andare a tempo con il ritmo dell’onda.
Sarebbe figo classificare le onde in base al ritmo che hanno…
Sono sicuro che ogni onda abbia un ritmo, dobbiamo rispettarlo. Se non lo fai magari puoi chiudere manovre incredibili ma perdi il flow.
Grazie Kepa, è stato un onore.
Grazie a voi e spero di tornare in Italia per surfare insieme alcune delle onde di cui mi avete parlato, sarei veramente curioso di tornare.