Vini dos Santos ha una fama che lo precede: è l’uomo dell’onda da 100 piedi (30 metri e mezzo). Misurare un’onda è un esercizio complicato a cui per paradosso i surfisti di alto livello sono spesso restii. Un team di oceanografici ha deciso di mettere un’etichetta all’onda surfata da Vini il 25 Febbraio 2022 a Nazaré: “Per rendere la misurazione più precisa possibile ho dovuto produrre foto e video da più angolazioni possibili, per fortuna nel caso della mia onda c’erano tantissime immagini” – spiega Vini.
La sua storia ha inizio nel sud del Brasile, a Santa Catarina: “Ho dedicato la mia vita all’oceano anche se la famiglia mi spingeva a continuare gli studi. Ho fatto 4 anni di ingegneria su 5, ho mollato l’università quando mancava poco per finire. Quando ho raggiunto la finale di un contest di big wave riding a cui ero stato invitato ho capito che dovevo continuare ed inseguire quel sogno. Facevo lavori di ogni tipo per mantenermi: bagnino, operaio, vendevo noci di cocco sulla spiaggia. Tutte le volte che vincevo dei soldi tramite i contest, li investivo per viaggiare e allenarmi”.
Hawaii, Cile, Europa: Vini dos Santos affronta passo dopo passo tutti i mostri sacri del big wave riding. Con umiltà e rispetto, immergendosi racconta durante il podcast nella cultura locale. Mentre aspetta le mareggiate extralarge presta servizio come bagnino, un lavoro che gli consente anche di rimanere allenato e connesso all’elemento: “Faccio molto bodysurfing per sentirmi sempre a mio agio in mare. Un altro allenamento che trovo utile è la bicicletta, faccio tanti chilometri in bici per migliorare la resistenza. In generale lavoro per riuscire a produrre più mitocondri, che scientificamente trasportano l’energia alle cellule. Più sei fit, più sei ossigenato, più alte sono le probabilità di sopravvivere ad un brutto incidente”.
A proposito di questo, mi torna in mente che Giovanni Evangelisti nel raccontare la sua prima volta a Nazaré, si diceva entusiasta del clima inclusivo e di supporto che si respirava nella community dei big wave rider. Vini commenta così: “Ci si aiuta a vicenda soprattutto perché non vogliamo che nessuno si faccia male. Non tutti in realtà si vogliono per forza bene ma quando c’è di mezzo un rischio così grande, alla fine prevale sempre il buonsenso e la voglia di tornare a casa sulle proprie gambe”.
Nel podcast non potevamo fare a meno di parlare di Nazaré, di come l’onda sia diventata una sorta di attrazione turistica: sempre più surfisti nella media decidono di fare tow-in ai piedi del celeberrimo faro. Vini a differenza di altri big wave rider con cui mi è capitato di parlare è permissivo: “Non posso dire alle persone di non seguire i propri sogni, surfare Nazaré è come scalare l’Everest. Anch’io d’altronde all’inizio non sapevo come affrontarla, ma se hai una visione devi perseguirla. Credo soltanto che sarebbe più giusto iniziare facendo paddling a Nazaré, invece la maggioranza di chi prova va direttamente al tow-in”. Perché però Nazaré è così speciale? Dato per assodato che sia meno tecnica e pericolosa di Jaws, Mavericks o Puerto Escondido, come mai è diventata la mecca del big wave riding? “Nazaré è speciale perché in un inverno regala molte più giornate surfabili degli altri grandi spot del big wave. In Portogallo hai la possibilità di migliorarti e andare in acqua con continuità”.