di Luca Filidei
Alcuni li chiamano talenti generazionali. Altri sono soliti frenare gli entusiasmi, rifacendosi al classico leitmotiv “devono ancora dimostrare molto” sempre capace di placare proiezioni, parallelismi, innovazioni. Sia chiaro, in molti casi i secondi hanno ragione. Quante volte abbiamo sentito parlare del “nuovo Messi”? O del “nuovo Tom Brady”? Forse meno di personaggi come Michael Jordan o del nostro Kelly Slater, talmente unici da rendere persino inconcepibile dei paragoni (se escludiamo LBJ per il basket). Eppure, per molti di questi super talenti con il privilegio di essere accostati alle versioni “young” dei vari predestinati, il futuro non ha previsto gli stessi onori.
Problemi comportamentali. Difficoltà nel migliorare le proprie capacità. Mancanza di una strategia finalizzata a raggiungere i vari obiettivi. E infine quello che più conta: i risultati che mancano, ma anche una distanza spesso incolmabile nei confronti dell’appeal tipico di alcune icone. Già perché se ti accostano a Lisa Andersen non ti devi concentrare “solo” su quei quattro titoli mondiali vinti, ma anche su quello che “Trouble” ha significato per il surf: imporsi partendo da zero, innalzare la competitività del surf femminile, crescere una figlia durante il Tour, promuovere il marchio Roxy. Vado subito al punto, non posso sapere se la protagonista di questo articolo, il prodigio Erin Brooks, ricalcherà (attualizzandoli) alcuni dei grandi step compiuti dalle Hall of Famer di questo sport, ma il trionfo ai campionati ISA Junior e la grande vittoria nel primo contest delle Challenger Series prova che “deve ancora dimostrare molto” è già qualcosa che la canadese ha superato.
Di seguito quindi cinque motivi per seguirla e magari per poter dire agli scettici tra qualche anno: “Te l’avevamo detto che avrebbe spaccato”.
Erin Brooks è del 2007 ma ha già scritto la storia di diverse prime volte
Partiamo dall’età. Sedici anni. Accedere al Tour nel 2025 non sarebbe un record (la campionessa del mondo Caroline Marks ci entrò a quindici anni), ma l’atteggiamento e l’impatto mediatico di Erin sono già da sottolineare per una surfista così giovane. L’atteggiamento perché imporsi a Snapper in quel modo contro atlete ex CT non è da tutti. L’impatto mediatico per via di una lista infinita di temi: il contratto con Rip Curl, la (spy?) story per diventare canadese, l’etichetta di “prescelta”, i 174.000 (per ora) follower su Instagram… ne parlerò dopo.
In questo momento Erin Brooks sembra nata per diventare la nuova stella (e il nuovo volto) del surf. E questo è già molto strano, dato che non abbiamo ancora fatto in tempo ad abituarci alle “New Fab Four”: Caroline Marks, Molly Picklum, Bettylou Sakura Johnson e Caitlin Simmers. Con queste quattro il surf femminile sta crescendo esponenzialmente, avviando una straordinaria lotta generazionale. Con Erin il tutto potrebbe diventare epico. Ora però concentriamoci proprio sul prodigio canadese. In realtà Erin non ha trascorso molto tempo nel Paese della “foglia d’acero”. Anzi, la famiglia Brooks viveva in Texas, a Boerne, fino a quando tutti decisero di trasferirsi alle Hawaii. È lì, precisamente a Lahaina, Maui, che Erin prende la prima onda. La scintilla per il surf si accende immediatamente. Anche il talento si nota all’istante, e così iniziano subito i vari trip: dalle Hawaii a Bali, da Bali a Tahiti.
Erin ha solo nove anni eppure a Maui ha già colpito il suo istruttore. Divertente la storia in cui lui le chiede da quanto tempo surfa: “Tre giorni”, risponde lei. “Okay, so che fai surf qui alle Hawaii da tre giorni”, dice l’istruttore, “ma da quanto tempo surfi in totale?” La risposta di Erin è sempre la stessa: “Tre giorni”. Insomma, un rarissimo talento in seguito confermato dal passaggio tra i pro a soli dodici anni, soltanto tre anni dopo la prima onda. E poi ricordiamoci che ad appena quindici anni strappava il record di più giovane surfista a competere nella Rip Curl Cup a Padang Padang, diventando allo stesso tempo la prima ragazza a raggiungere la finale dopo aver sconfitto uomini con il doppio della sua età e del suo peso. No, non fatevi ingannare dalla sua data di nascita. Quella dice 2007, ma Erin può fare a pezzi un pro senza il minimo riguardo.
L’educazione militare di Erin, figlia di un Marine
Non è da tutti gestire fama e money, gli esiti sono spesso imprevedibili. Penso ad esempio che a Morgan Cibilic sia successo proprio questo: altrimenti non arrivi alle Finals nella tua stagione da rookie e poi vieni tagliato l’anno successivo, faticando a ritornare nel CT. Ma per Erin potrebbe essere tutto più semplice. Le ragioni sono molte: la prima è che la canadese non proviene da una classica “surf country”. Pensate che praticava tennis prima di iniziare con il surf. Sì, è cresciuta alle Hawaii ma la sua formazione resterà sempre collegata a una cittadina del Texas in cui per immergere i piedi nell’acqua bisogna raggiungere il Boerne Lake, non proprio Trestles o Bells. Questo partire da zero è probabilmente il motivo della sua grande competitività, quasi volesse fare sempre di più per dimostrare agli altri che si può vincere anche senza essere nati in California o in Australia. Una specie di complesso di inferiorità che Erin sa sfruttare positivamente.
La seconda ragione è la famiglia. Suo padre, Jeff, era un Marine. Suo fratello, di nove anni più grande, fa parte della Guardia Costiera. L’etica del classico lavoro duro e della strenua disciplina fa da sempre parte della vita di Erin, e così lei è cresciuta credendo fermamente in questi valori. Nel surf poi la fisicità non è un fattore determinante come in altri sport, e questo ha reso Erin ancora più convinta dell’importanza della forza mentale. Generalmente surfa due sessioni per un minimo di quattro ore al giorno, integrate da un massacrante workout nel mezzo, e grazie a questo è riuscita ad entrare nelle competitive lineup della North Shore. E quando le persone dicevano che era troppo piccola, lei rispondeva con le parole di suo padre: “Little people can do big things”.
Erin Brooks surfs better than you
Qui Andiamo molto vicino a Lisa Andersen, è chiaro. Ovvio, prendiamoci le dovute cautele, ma considerando l’età di Erin è impossibile non scrivere due parole sul suo impatto mediatico. Dal punto di vista commerciale sappiamo già quanto la sua carriera sia ben avviata grazie ai contratti firmati con Rip Curl, Red Bull e Oakley, ma in termini di imprinting sul surf femminile?
Anche in questo caso Erin sta facendo molto. Pensiamo agli air ad esempio, che ha sviluppato anche grazie al lavoro in half pipe e nelle wave pool. In questa specialità, spesso quasi totalmente collegata al surf maschile, il suo livello è già da evidenziatore giallo. Il suo mentore è Shane Dorian – così come quello di Lisa Andersen era Tom Curren –, ma per quanto riguarda le acrobazie aeree si è sempre confrontata con Italo Ferreira e Gabe Medina, tra l’altro suo compagno nella condivisa “sponsored house” della North Shore. Questa vicinanza non fa altro che abbattere le barriere tra surf femminile e maschile, anche se Erin vuole di più come dimostrano le sue parole: “I just show everyone that girls can do it better than guys. It’s possible. With faith, anything is”. Volete un esempio? Guardate questo:
Siamo a Playa Hermosa e il protagonista è un frontside air da molti considerato come il migliore mai realizzato da una surfista. E se parliamo di tubi, guardate il dieci che ha appena preso a Snapper.
La rivalità che cambierà per sempre il surf femminile: Erin vs Caitlin
Prima ho scritto delle Fab Four, a cui poi devono aggiungersi le surfiste della precedente generazione: Steph Gilmore che rientrerà il prossimo anno, Johanne Defay, Tyler Wright. In realtà però una forte e unica rivalità è già all’orizzonte. Mi riferisco a Erin Brooks e Caitlin Simmers. Entrambe giovanissime. Entrambe straordinariamente concentrate sul mondo pro. In questo momento sono in cima ai rispettivi ranking: Simmers nel CT e Brooks nelle CS.
Insomma, lo storytelling dei prossimi anni sembra già scritto, e questo anche per via dei diversi approcci che utilizzano nel comunicare la propria immagine. Da una parte la timida (anche se dicono divertentissima) Caity. Dall’altra l’esplosiva Erin. Lo schieramento dei fan da una parte o dall’altra sembra inevitabile: è il bello dello sport. Quindi avanti, voi da che parte state?
La scelta di rappresentare il Canada e gli investimenti che comporterà
La foto di Erin vicino a un cappellino con la scritta “Canada” mi ricorda tanto quelle che si scattano durante il Draft delle leghe statunitensi. Diventare una rappresentante dello Stato della “foglia d’acero” è stato un lungo trip, su questo non ci sono dubbi, reso tra l’altro possibile grazie alla doppia cittadinanza del padre e alla presenza di un nonno nato a Montreal. Ma questa era la parte facile, perché in prima istanza la sua richiesta era stata rigettata per la mancanza di specifici criteri, tra cui l’apolidia che era dovuta a problemi burocratici. Da lì tanta attesa fino a dicembre, quando la vicenda ha finalmente un punto di svolta. La Ontario Superior Court of Justice infatti sovverte tutto, sostiene che la decisione è incostituzionale e permette a Erin Brooks di diventare canadese. Il processo in realtà non è così immediato – interviene il Dipartimento per l’Immigrazione e persino lo studio legale del Canadian Olympic Committee – ma alla fine lei riesce persino a partecipare in extremis agli ISA World Championships. Purtroppo, l’obiettivo di ottenere un pass per Parigi 2024 sfuma. Tutto viene posticipato a Los Angeles 2028, dove il Canada potrebbe seriamente competere per una medaglia.
Una possibilità che dimostra in fondo quanto queste scelte siano estremamente razionali. Se Erin Brook è diventata canadese vincono lei stessa, la WSL e ovviamente il Canada. Lei perché si assicura un percorso ad hoc all’interno di una federazione sportiva con un limitato numero di contender, la WSL perché si apre ad un nuovo mercato, il Canada perché può puntare ad un grande risultato alle Olimpiadi. Tornando al paragone con le leghe statunitensi, se sostituissimo la parola “Canada” con “Bulls” diremmo che il GM di quella squadra di basket ha fatto proprio un gran bel lavoro. E poi vuoi mettere un epico USA vs Canada a Los Angeles 2028?
In conclusione Erin Brooks può davvero essere quella giusta. Ha talento. Dedizione. Sa vincere ma anche imparare dalle sconfitte. A soli sedici anni ha visto luoghi eccezionali, surfato bombe negli spot più belli, conosciuto i migliori di questo sport. E negli stessi sedici anni ha visto anche il lato drammatico della vita. Gli incendi di Maui che hanno distrutto vite e cancellato molti suoi ricordi. I problemi di salute della madre. Mettiamoci anche i detrattori che la scherzavano soprannominandola “wave pool kid”. Oltre a Shane Dorian non vi ho detto che Erin ha anche un altro idolo: si chiama Bethany Hamilton. Conosciamo tutti la sua storia. Se la giovane canadese riuscirà a portare su quelle onde anche solo la metà del temperamento di Bethany sarà dura per chiunque.
E sapete una cosa? Qualcosa mi dice che ci riuscirà.
Little people can do big things
Jeff Brooks, padre di Ein