Brando Pacitto rimarrà a lungo l’ospite più surfista dei Drop in. Mi sento abbastanza sicuro nel dirlo, mi accontento del cognome Pacitto da esporre certificato di origine protetta. La famiglia Pacitto ha contribuito alle origini dei watersports a Roma. Pietro (papà di Brando) e Luca sono ancora due dei windsurfer più forti d’Italia e la seconda generazione dei Pacitto si è fatta valere nel surf da onda con appunto Brando, sua sorella Onda ed il cugino Mauro. “La leggenda dice che la mia prima parola sia stata pinna – racconta Brando -, io ovviamente non ricordo. Poi vai a vedere dove finisce la realtà e inizia la leggenda”. Al confine tra la realtà e la finzione mi piace pensare che possa trovarsi l’interpretazione di un bravo attore. Brando Pacitto è un attore. È anche un attore, forse preferirebbe che dicessi così. Magari l’avrete visto in “Baby” su Netflix, al cinema in “L’estate addosso” di Gabriele Muccino oppure in qualche serie di Rai (ha avuto un ruolo centrale in “Braccialetti rossi”) e Mediaset. Insomma di cose ne ha fatte Brando, che ha 25 e mi spiega così il successo: “Mi è capitato di pensare di avere successo, soprattutto in un momento specifico. A quel punto però mi sono allontanato dal cinema per un periodo perché mi spaventa l’ipericonoscibilità. È ovvio che c’è un lato di me narciso ed egocentrico, però mi piace farlo in una sorta di semi-anonimato. È compilato da spiegare”.
Ho deciso di registrare questa puntata del podcast senza prepararmi le domande. Conosco un minimo Brando, sapevo che non avrebbe avuto paura del silenzio, che se non ti prepari può intervallare delle fasi dell’intervista segnando un passaggio. Come la fine di un capitolo. Su quest’ultima sua affermazione però ho voluto insistere, esortandolo a spiegarsi meglio: “Quando recito lo faccio più per me. È come un surfista innamorato follemente del surf: non è tanto l’atto performativo, quanto lo stare in acqua. Non fa per farlo vedere a qualcuno”. Bingo.
Mentre parliamo Brando è a Fuerteventura, che come forse ho già detto o scritto dopo un po’ mi annoiava, ero nostalgico dell’Italia nonostante le onde e il clima. Gli chiedo se abbia mai pensato di smettere: “Smettere proprio no, certo è che la situazione è fuori controllo. Comunque è meglio che non parli perché sono parte del problema, alle Canarie siamo colonizzatori cattivi”. Vedo delle tavole, indago perché so che sarà interessante. Brando da ragazzino surfava con shortboard high-performance, andava forte nelle gare junior. Adesso ha cambiato gusti e dice che è colpa del tempo che passa, ma anche delle sue capacità atletiche limitate. Fa ammazzare dal ridere, sentire il podcast è un’altra esperienza.
Ha con sé in macchina una Lost Pocket Rocket e un Gato Heroi single fin, tavole agli opposti. Parliamo di stile: “In fondo Leo – parte Brando – lo stile non te lo puoi scegliere, sei costretto a cucirtelo addosso. Lo stile lo vedi già da come cammini”. Assist perfetto, me lo serve a porta vuota: nella recitazione è lo stesso? “Sì però lì la bravura dell’attore sta nel variare perché sennò diventi un caratterista, finisci con la sindrome di Harry Potter: intrappolato nel personaggio”. Ho pensato di fare Drop in per botta e risposta come questi, con il surf principio e fine di concetti apparentemente slegati. E poi Brando tira fuori una cosa fighissima: “Nella recitazione come nell’arte la ripetizione porta ad una saturazione dell’interesse”. Un concetto che tutti dovremmo scrivere 50 volte sulla lavagna come faceva Bart durante la sigla dei Simpson. Se nessuno si offre volontario, vado io per primo.
Per alleggerire il carico di una puntata impegnata ma sempre a modo nostro, vi anticipo la domanda gossippara e terrena inserita ad un certo punto della conversazione: maaaa ‘sta storia che sei un surfista vero…nel cinema ti ha mai aiutato? Interessava a chi ti faceva i provini? Brando: “In realtà non è mai fregato niente a nessuno”. Risate.
Sipario.